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Storia di Kintaro (2018)

  • Immagine del redattore: Salvatore Pellegrino
    Salvatore Pellegrino
  • 6 ott 2018
  • Tempo di lettura: 9 min


Tanto tempo viveva a Kyoto, antica capitale giapponese, un famoso e nobile samurai. Il suo nome era Kintoki. Capitò dunque che un giorno perfino costui, uomo rispettabile e orgoglioso, cadesse preda dell’amore: innamoratasi di una bella dama del palazzo reale – e a sua volta riamato perdutamente da costei – decise di sposarla, attirando però su di sé le invidie dei malvagi cortigiani. Poco dopo le nozze, dunque, costoro confabularono alle sue spalle e misero in giro false voci su di lui, finchè tali malignità non giunsero alle orecchie dell’Imperatore in persona. Profondamente adirato e deluso, costui decise di bandire con disonore Kintoki dal palazzo. Ciò addolorò molto il samurai fino al punto da indebolirne il cuore e farne precipitare il corpo in una lunga e ignota malattia. Dopo poco tempo costui morì, lasciando la giovane e bella moglie da sola in un mondo crudele, con suo figlio in grembo. Temendo oltre ogni dire i nemici del marito, la giovane donna fuggì nel profondo della foresta della montagna Ashigara, in cui nessun aveva il coraggio di avventurarsi, tranne i coraggiosi taglialegna. E fu proprio in questa foresta che, una volta trovato riparo in una grotta, ella diede alla luce un bambino, cui diede nome di Kintaro[1]. La vita non fu certamente facile per bambino e madre: tuttavia, nonostante tutte le difficoltà, la donna riuscì a comunque far crescere suo figlio in salute, con tutte le sue forze e il suo cuore. Certamente nel bosco la donna non poteva garantire al figlio il cibo del palazzo reale, ma raccoglieva per lui i frutti della terra e le piante: e così Kintaro crebbe come un ragazzo incredibilmente robusto, sano e forte, provvisto di uno spirito molto umile. Kintaro trascorreva i suoi giorni combattendo per gioco con gli animali, che erano diventati suoi inseparabili amici. Essi lottavano amichevolmente con il ragazzo, misurando in quel modo la loro forza, ma nessun animale era più forte di Kintaro. Quando si stancava di combattere, egli andava in giro per le montagne insieme agli animali e si metteva poi seduto ad osservare la bellezza della natura o a chiacchierare con i suoi compagni: i suoi migliori amici erano infatti gli orsi, dai quali aveva imparato il valore della forza; i cinghiali, che lo avevano educato nella resistenza fisica; le scimmie, grazie alle quali aveva capito in che modo arrampicarsi con destrezza sugli alberi più alti; le volpi, maestre d’astuzia; i tassi, che gli avevano insegnato a scavare; scoiattoli, dai quali aveva imparato a essere veloce e furtivo; i cervi, che gli avevano insegnato il modo in cui salire velocemente sulle montagne rocciose. Accade un giorno che, mentre Kintaro e i suoi vagavano nei boschi, egli notò un grande granchio che le correnti del fiume avevano trascinato sulla riva.

«Ehi tu, piccolo!» disse il granchio «Le correnti del fiume mi hanno strappato alla casa e agli affetti! Ti prego, rimettimi in acqua così che io possa fare ritorno illeso a casa mia!»

«Amico,» rispose Kintaro «la tua sorte mi rende triste! Ti libero!»

E così il granchio fu rimesso nel fiume e da allora i due divennero inseparabili amici. Quando la pioggia cadeva dal cielo, Kintaro trovava comunque modo di divertirsi con i suoi amici animali, nella grotta, al coperto. Nel tardo Autunno, invece, tutti gli animali si riunivano per raccogliere cibo per i giorni freddi d’Inverno: conigli e volpi lo aiutavano a raccogliere i frutti del bosco e i funghi; i cinghiali e i cervi scavavano le patate dolci dalla terra; gli scoiattoli e le scimmie si occupavano della raccolta delle ghiande dagli alberi; gli orsi e i tassi si occupavano della raccolta della legna da ardere. Guardando crescere suo figlio ogni giorno, la giovane donna riuniva i palmi delle mani in preghiera e così parlava, commossa, agli dèi della montagna:

«Ho fatto tutto il possibile per far diventare il mio Kintaro umile e forte. Tutto ciò è merito vostro, che avete udito le mie preghiere…»

Così gli anni passavano in pace, insieme agli animali e alla natura. Ma ecco che giunse la Primavera. La mattina presto Kintaro uscì dalla grotta, si mise in spalla una pesante scure e se ne andò a vagabondare per la montagna con gli amici animali: egli guidava la successione di animali a cavallo dell’orso, portando in grembo lo scoiattolo e il granchio; il resto degli amici animali lo seguiva festoso e non v’era invidia in loro per le posizioni di privilegio del granchio e dello scoiattolo giacché l’invidia e la malafede sono sentimenti esclusivi degli uomini malvagi. Tutta la compagnia ascoltava allegramente il suono degli uccelli che cinguettavano piacevolmente dai rami. Dopo aver vagabondato per tutto il giorno nella montagna, essi s’imbatterono in un profondo dirupo, tra le scogliere: da qui proveniva un forte rombo e saliva al cielo un fumo biancastro. Desiderando passare dall’altra parte della scogliera, Kintaro e gli amici animali cominciarono a pensare in che modo sarebbe stato possibile farlo. Poiché non riuscivano a trovare una soluzione, Kintaro trasse un profondo sospiro e disse:

«Peccato, non si può attraversare l’abisso…»

Ma, mentre gli animali scambiavano tra di loro sguardi tristi, all’orso venne un’idea ed esclamò:

«Forse, amici, possiamo piegare questo albero e metterlo tra una scogliera e l’altra: in questo modo creeremmo un passaggio e potremmo passare!»

Lodato da tutti per la brillante idea, l’orso si mise immediatamente all’opera ma, nonostante usasse tutta la sua potenza muscolare, non riuscì a piegare l’albero nemmeno di un centimetro. Per aiutarlo allora il cinghiale salì sull’albero e cominciò a piegare il ramo con tutte le sue forze: nonostante tutti i suoi sforzi, però, solo un ramo sottile si piegò, ma molto poco.

«Basta, ci proverò io adesso!» gridò Kintaro e si fermo davanti all’albero.

Poi, gridando a gran voce, il robusto giovane cinse fortemente l’albero con due mani. Ed ecco che questo cominciò a rumoreggiare e a crepitare e alla fine fu estirpato dal terreno; poi fu gettato dall’altra parte della scogliera, a mo’ di ponte. La felicità della compagnia non ebbe limiti: tutti cominciarono a fare i salti di gioia ed abbracciarsi come fratelli. Mentre così gioivano, un boscaiolo nascosto dietro un cespuglio aveva osservato ciò con grande sorpresa, stropicciandosi più volte gli occhi per ricordare a se stesso ch’era sveglio: aveva davvero visto un giovane talmente forze e potente da essere riuscito a sradicare dalla terra un enorme albero! “Incredibile” si domandò incuriosito l’uomo “Questo bambino certamente non è uno qualunque! Chi sarà mai suo padre?”. Poi, così pensando, si mise a seguire di nascosto la compagnia con l’intenzione di scoprire qualcosa di più sul giovane prodigio. Di tutto ciò Kintaro non s’accorse e, attraversato l’abisso sul tronco, si unì con gli animali che lo attendevano dall’altra parte e si diresse in loro compagnia dalla madre che li attendeva. Appena mise piede nella grotta dove viveva, il ragazzo gridò a pieni polmoni e con un grande sorriso sul volto paffuto:

«Mamma sono tornato!»

«Oh, kinba[2]!» rispose sua madre sorridendo calorosamente «Sono contenta che tu sia qui! Avevo timore che ti fosse successo qualcosa... Dove sei stato tutto il giorno?»

«Oh madre adorata!» rispose allegramente Kintaro «Abbiamo vagabondato attraverso la montagna, abbiamo misurato chi tra noi fosse il più forte. Poi ho sradicato un albero con cui ho creato un ponte al fine di ottenere una scorciatoia per far ritorno a casa. Domani continueremo la lotta!».

Mentre ancora parlavano, i due udirono una voce proveniente dall’ambiente esterno.

«Giovane, ti prego, ascoltami!» chiamava a gran voce il vecchio boscaiolo, che aveva seguito il ragazzo sino a casa «Riuscirai a misurare la tua forza con questo povero vecchio? Ne sarei molto onorato!»

Molto sorpresi della cosa, Kintaro e sua madre lo fissarono a lungo chiedendosi come mai non lo avessero ma visto prima da quelle parti. Poi, al cenno della donna, il buon uomo rimosse le logore scarpe, entrò nella grotta e fece loro un profondo inchino.

«Chi sei, vecchio uomo?» gli chiesero all’unisono.

Il vecchio scoppiò a ridere, poi subito rispose:

«Sono un umile boscaiolo e la mia identità non importa che conosciate. Ciò che davvero è importante è sapere chi è il più forte tra costui e il sottoscritto!»

Kintaro aveva trascorso tutta la sua vita nella foresta e non sapeva nulla delle cerimonie. Quindi così parlò:

«Possiamo dunque misurare le nostre forze ma sappi, vecchio, che chi perde non può arrabbiarsi!»

«Certo!»

Iniziarono a lottare. A lungo si erano tenuti per le spalle al fine di prevalere l’uno sull’altro, ma la verità era che entrambi erano egualmente forti. Alla fine l’anziano decise di interrompere la lotta.

«Sei veramente forte, giovane ragazzo!» disse il vecchio con il volto colmo di ammirazione e stupore «Durante la mia vita ho incontrato sola una manciata di persone che hanno avuto il coraggio di affrontarmi, ma ho sempre prevalso io alla fine. Ti ho veduto oggi mentre stavi sradicando quel grande albero dalla terra: non riuscivo a credere ai miei occhi e così ho deciso di seguirti fino a casa! Quando sarai cresciuto certamente diventerai l’uomo più forte di tutto il Giappone! Mi dispiace che tu ti sia nascosto dalla gente in questa foresta selvaggia...»

Poi, rivolgendosi alla madre del ragazzo, l’uomo aggiunse:

«E tu, giovane madre, non hai mai pensato di portare tuo figlio al palazzo reale? Non desideri forse ammirarlo con orgoglio mentre indossa uno splendido hakama[3] e brandisce una katana[4] come un vero samurai[5]?»

Dopo aver sentito le commosse parole dell’anziano la madre rispose:

«Caro vecchio, ti sono veramente grata per queste parole. Sinceramente, ho sempre segretamente sperato che un giorno avrei visto mio figlio portare le due spade dei samurai, proprio come un tempo fece suo padre Kintoki... Ma, ecco, noi non conosciamo persone importanti del palazzo reale che ci possano aiutare ad entrarvi»

L’anziano allora sedette e cominciò a raccontarle sua storia.

«Con grande rispetto, non ti devi preoccupare di questo. Sai, in realtà io non sono un boscaiolo: il mio nome e Sadamiku, uno dei più grandi samurai del Paese, vassallo del potente Imperatore Raiko Minamoto; costui mi ha ordinato di viaggiare per tutto il Giappone con lo scopo di trovare qualche eccezionale giovane adatto a servire l’esercito. Come tuo figlio. Avendo pensato che sarebbe stato meglio non farmi riconoscere durante questa missione, mi sono travestito e ho celato a tutti la mia vera identità e la mia missione. Ecco, ho avuto grande fortuna nell’ incontrare tuo figlio. Ma dimmi, dignitosa donna, mi permetteresti di portarlo con me al palazzo e di presentarlo al padrone?»

Il cuore della donna si colmò di gioia, il suo più grande desiderio stava per avverarsi: vedere suo figlio diventare samurai. Commossa, si inchinò al suolo, e disse:

«Se sei davvero l’uomo che dici di essere, potrai portare mio figlio con te!»

Kintaro, che era seduto accanto a loro, disse:

«Ah! Ora andrò dritto dall’Imperatore e un giorno diventerò un grande samurai come lo fu mio padre prima di me»

Il destino del ragazzo era stato deciso e egli iniziò lentamente a prepararsi per partenza. Sua madre versò amare lacrime per la separazione dal suo unico nato ma improvvisamente, nonostante tutto il dolore che le riempiva l’animo, alzò il volto. “Questo viene fatto per il bene di mio figlio!” pensava “Come buona madre, non devo legare troppo Kintaro a me…

«Madre,» le disse Kintaro «ti prometto che non ti dimenticherò mai e che sarai nel mio cuore per sempre. Appena diventerò un samurai con due spade, ti farò costruire un palazzo enorme e mi prenderò cura di te per tutta la vita, come tu hai fatto con me»

Detto ciò, il devoto ragazzo l’abbracciò con grande forza. Entrambi piangevano. Dopo essersi resi conto che il loro amato Kintaro stava per lasciarli, gli animali si erano riuniti intorno a lui.

«Kintaro! Kintaro!» gli gridarono tutti in coro «Possiamo venire con te?»

«Mi piacerebbe molto amici, ve lo confesso! Ma è meglio che rimaniate accanto a mia madre, che ha il cuore affranto per la mia partenza! Vegliate su di lei e proteggetela da qualsiasi pericolo in mia vece»

Poi il giovane e il samurai partirono alla volta del palazzo, accompagnati dagli sguardi della madre e degli animali, alcuni dei quali – i più agili e veloci – li avevano scortati sino alla collina.

«Kinba!» urlò in lacrime la madre di Kintaro «Prenditi cura di te e fai ogni cosa secondo giustizia! Non dimenticare mai chi sei e il cuore puro che porti in petto!»

«Kintaro, cerca di star bene!» gli animali lo salutarono a gran voce, mentre si erano arrampicati sin sugli alberi più alti per osservarlo il più a lungo possibile. Quando arrivarono a Kyoto, il samurai Sadamiku si recò subito dall’Imperatore Minamoto e gli raccontò della sua avventura e dello spettacolo cui aveva assistito sul monte Ashigara. L’Imperatore fu talmente affascinato dalla storia che conferì immediatamente a Kintaro il ruolo di vassallo, con l’impegno di dover dimostrare in pochi anni di essere degno di un servizio d’élite nell’esercito. Questo esercito era ben noto a tutti i cittadini in Giappone: veniva chiamato “Esercito dei quattro coraggiosi” e aveva il compito di proteggere l’Imperatore in persona. Quando arrivava il momento, i soldati venivano selezionati in base alla forza e al valore: non appena alcuni di loro si rivelavano ingiusti e presuntuosi, venivano subito dimessi dal servizio come indegni del titolo. Dopo diversi anni e dopo aver studiato diligentemente la calligrafia e il buddismo, Kintaro fu pronto per affrontare la selezione per l’esercito d’élite. Dal momento che, negli anni precedenti, costui aveva dimostrato che era non solo molto più forte di tutte le persone in Giappone ma anche molto più intelligente, i soldati lo scelsero come membro dei “Quattro coraggiosi”. Dopo aver ricevuto questo grande onore, Kintaro si inginocchiò sul limpido pavimento del palazzo imperiale e pronunciò dinnanzi al sovrano il kappan, il sacro giuramento di sangue, adottando di fatto il bushido[6] per tutta la vita. Da quel momento in poi il nobile Kintaro divenne uno dei più grandi eroi del Giappone: visse la sua lunga e eroica vita circondato da un immenso rispetto e dalla ricchezza che riceveva dai governanti. Mantenne la promessa fatta a sua madre: fece infatti costruire una casa lussuosa dove visse insieme a lei felicemente per tutto il resto dei suoi giorni.



[1] Il nome significa “ragazzo d’oro”.

[2] Piccolo.

[3] Indumento tradizionale giapponese, una sorta di kimono di grande pregio.

[4] Spada giapponese.

[5] Militare del Giappone feudale, appartenente alla casta dei guerrieri, che giurava fedeltà a un signore.

[6] La via del guerriero.


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