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La storia di Sun Wu Kung, la scimmia che volle sfidare il Mondo e il Cielo (2018)

  • Immagine del redattore: Salvatore Pellegrino
    Salvatore Pellegrino
  • 6 ott 2018
  • Tempo di lettura: 54 min

I.


Nel lontano Oriente, in mezzo al vasto e profondo mare, vi era un’isola chiamata dagli antichi Kakazan, “Monte dei fiori e dei frutti”. Su quest’isola vi era un’alta e pericolosa scogliera che, sin dall’inizio del mondo e del tempo (quando governavano il cielo i cinque kami [9], prima che i gemelli Izanami e Izanagi [10] scendessero sul nostro mondo), aveva raccolto in sé il reiki[11] di tutti gli elementi del cosmo (i semi del sole, della luna, della terra e del cielo), divenendo custode di una immensa forza vitale e riproduttiva. La pressione di tale reiki era talmente opprimente e grande che un bel giorno la scogliera esplose, generando un uovo di pietra tondo come una palla. Da quest’ovulo portentoso e gagliardo, ingravidato dal vento, venne alla luce uno scimmiotto di pietra. Non essendo ancora in grado di camminare e balzare correttamente come una scimmia che si rispetti, costui barcollava e cascava da tutte le parti finché, con un poco di pratica, non imparò da sé. Poi, desideroso di vedere il mondo nel quale era nato, decise di aprire per la prima volta gli occhi: ed ecco allora che da questi s’irradiarono due raggi dorati che salirono sino al più alto castello del cielo tanto che il sovrano del cielo, l’imperatore di Giada, si spaventò. Preoccupatissimo per l’accaduto, il Padre dei Cieli inviò sulla terra due suoi servitori per comprendere che cosa stesse succedendo. Partiti repentinamente e repentinamente ritornati al Padre, costoro riferirono a lui:

«Padre, i raggi che tanto ti preoccupano hanno in verità origine dall’occhio della scimmia di pietra generata dal sasso incantato. Non c’è motivo di essere inquieti!»

Il Padre dei Cieli lasciò dunque correre. Il tempo passò. Lo scimmiotto crebbe in salute: correva e saltava dappertutto, si dissetava dalle fonti delle valli e mangiava fiori e frutti trascorrendo il suo tempo in un gioco senza fine insieme alle altre scimmie dell’isola, con le quali subito fece amicizia. Essendo di pietra, egli possedeva inoltre una forza portentosa. Un giorno d'estate, mentre si rinfrescavano facendo il bagno in una valle, le scimmie scorsero una cascata che scendeva a precipizio da un’alta roccia. Allora si dissero:

«Ah! Bell’affare! Chiunque riuscirà a tuffarsi da questa altura e a toccare le acque che lì sotto gorgheggiano e turbinano senza farsi alcun male, sarà di diritto il nostro sovrano!»

Reputando la cosa facilissima, lo scimmiotto di pietra fece un salto di gioia e subito disse con spavalderia:

«Vado io, sicuro!»

Poi trattenne il respiro, chiuse gli occhi e saltò a capofitto nel fragore delle acque spumeggianti. Quando riaprì gli occhi, egli vide un ponte di pietra che la cascata separava – a mo’ di tenda – dal mondo di fuori. Il ponte conduceva a una buia e profonda caverna, nella quale sorgeva un castello pulito e spazioso al cui ingresso, su una lapide ampia e consunta, imperava la scritta dorata “Questo è il cielo della Caverna del Sipario d’Acqua, dietro la cortina acquatica sul Monte santo dei fiori e dei frutti”. Infervoratissimo e fuor di sé dalla gioia, lo scimmiotto attraversò una seconda volta quelle terribili acque e raccontò ai suoi compagni cosa aveva trovato. Liete di ciò, le sue compagne lo pregarono di portarle insieme a lui. Così tutto il branco attraversò la cascata sul ponte di pietra e tutti insieme entrarono nel castello della caverna. Quivi, nella penombra, i nostri visitatori trovarono un largo focolare e un’abbondanza di pentole, tazze e scodelle, tutte però rigorosamente in pietra. Fu allora che le scimmie decisero che lo scimmiotto di pietra sarebbe diventano il loro sovrano: l’affascinante re delle scimmie[12]. Da sovrano, subito costui indossò abiti più pregiati (un hanfu[13] scarlatto che le altre scimmie gli cucirono di buon grado) e una corona di foglie e istituì un governo solido come il materiale di cui egli stesso era fatto e nominò i cercopitechi, i babbuini e le altre scimmie funzionari e consiglieri, servi e aiutanti. Di mattina tutte le scimmie dell’isola vivevano insieme beate sulla montagna, mentre di notte erano solite ritirarsi nel loro castello della caverna. Si tenevano lontane da uccelli e animali e il re godeva della massima beatitudine. Un giorno costui era seduto a mangiare allegramente con le sue scimmie, quando scoppiò in un gran pianto. Spaventate e addolorate, le scimmie gli chiesero il motivo di tanta tristezza in un contesto così allegro e gioioso. Quindi il sovrano prese la parola e disse:

«È vero che siamo libere dalla legge e dal diritto degli uomini. Parimenti vero è che uccelli e animali non osano avvicinarcisi. Ma pian piano stiamo diventiamo vecchie e deboli… e un giorno verrà l'ora della morte a portarci via. In un batter d'occhio ce ne andremo da questo mondo, senza poter più tornare indietro!»

All'udire le sue afflitte parole, le scimmie si nascosero la faccia tra le mani e scoppiarono in lunghi singhiozzi. Si fece allora avanti una vecchia e saggia scimmia che, con voce forte e chiara, disse placidamente:

«Il fatto che voi, o potente re, indugiate su pensieri di tale sorta dimostra che in voi si è svegliato il desiderio di cercare la verità. Tra tutti gli esseri viventi, infatti, soltanto tre categorie possono sfuggire al potere della morte: i Buddha, gli spiriti beati e gli dèi. Chi raggiunge uno di questi tre stadi sfugge alla ruota della reincarnazione[14] e vivrà tanto quanto il cielo».

Sollevato il volto dai palmi bagnati di lacrime, il re delle scimmie domandò allora:

«Dimmi, o saggia anziana, dove vivono costoro?»

«Vivono nelle caverne e nelle montagne sacre, nel gran mondo degli uomini, o mio re» fu la pronta risposta.

Il re delle scimmie ne fu rincuorato e dichiarò ai suoi sudditi che era sua ferma intenzione partire per un lungo viaggio alla ricerca degli dèi e dei venerabili spiriti per apprendere da loro la via dell'immortalità. Le scimmie andarono allora a prendere pesche, dolci frutti e vino dolce in abbondanza per celebrare un degno banchetto d'addio. Brindarono ancora una volta tutte assieme. La mattina seguente il bel re delle scimmie si alzò di buon’ora, si preparò una zattera con tronchi di robusti pini e prese un ramo di bambù da usare come remo. Tutto solo salì poi sull’imbarcazione e, accomiatatosi dai suoi sudditi e dal suo amato regno, prese la via del vasto mare con risolutezza e coraggio. Non a caso era il re. Il viaggio gli fu propizio: l’impetuoso Yam[15] e il volubile Fūjin[16] gli furono alleati e gli concessero di raggiungere senza sforzo le coste dell’Asia. Quivi dunque, stanco e stremato per la non facile traversata, approdò.


II.


Sulla riva egli notò un uomo che pescava. Gli si avvicinò pian piano e gli assestò un tale colpo da farlo stramazzare al suolo; poi gli tolse i vestiti e li indossò, poiché le vesti con le quali aveva incominciato il viaggio erano ormai null’altro che stracci logori, sporchi e inutilizzabili. E fu così che ebbe inizio il cammino. Il re delle scimmie visitò tutti i luoghi più famosi del suo tempo: vagò per i mercati, nelle campagne e nelle città popolose, apprese le regole della decenza e del buon costume, imparò perfino a parlare e a comportarsi come una persona colta e di illustre famiglia. Ma nel suo cuore egli desiderava solamente avvicinarsi alle dottrine del Buddha, alla vita dei beati e dei santi, mentre la gente di quel paese pensava esclusivamente alla ricchezza e ai beni materiali. Nessuno aveva interesse per la verità. Il sovrano delle scimmie continuò così a vagare per ben nove anni finché un giorno, dopo aver preso il mare, giunse nella terra d’Occidente. Sceso a riva, il re delle scimmie continuò la sua ricerca per molti giorni finché d’un tratto notò un’alta montagna che s’innalzava tra valli silenziose e profonde. Questa era conosciuta con il nome di Montagna Terrazza degli Spiriti. Quindi vi s’arrampicò con coraggio e caparbietà. Mentre saliva, udì provenire dalla vegetazione fitta e smeraldina un canto soave: gli parve una melodia talmente gradevole e perfetta, che sicuramente per grazia sarebbe stata paragonabile al canto vellutato e diamantino di una ningyo[17]. Con un balzo, lo scimmiotto di pietra si gettò nel bosco per vedere chi fosse. Quivi incontrò un tagliaboschi, intento a lavorare. Sorpreso e trafelato per la lunga corsa, il sovrano delle scimmie s’inchinò di fronte all’umile lavoratore e in tal modo parlò:

«O venerabile e divino maestro, io sono il sovrano di tutte le scimmie del Monte dei fiori e dei frutti e quest’oggi mi prostro in preghiera davanti a voi»

«O buon viandante,» rispose sorpreso quell’onesto, appoggiando delicatamente l’ascia ai suoi piedi e detergendosi pacatamente il sudore «nient’altro sono che un umile taglialegna. Perché dunque mi chiami “divino maestro”?»

«Se dunque non sei un dio beato,» prese a dire il re «perché canti codesta divina melodia?»

«Ah!» rispose sorridendo il buon taglialegna «Vedo che te ne intendi proprio di musica! Stavo infatti cantando proprio una melodia che mi ha insegnato un santo, vecchio di ben cent’ottomila anni! Il suo nome è Subhodi il venerabile».

«Se sei amico di un santo così antico e potente,» s’affretto a dire il re delle scimmie con la voce rotta dall’emozione «questo non vivrà di certo tanto lontano da qui. Ti prego, mostrami dove abita!»

«Certamente lontano non è! Certamente no!» rispose il taglialegna «Questa montagna sulla quale sei giunto, magica creatura, è chiamata Montagna del cuore. Vi si trova una caverna in cui abita un santo eremita chiamato Subhodi, “colui che conosce ogni cosa”. Moltissimi dei suoi discepoli hanno raggiunto la beatitudine e ancora, al suo seguito, vi sono più di quaranta persone. Per incontrarlo, devi solo seguire questa strada verso sud. Troverai facilmente la sua casa».

Il re delle scimmie ringraziò il taglialegna e ne seguì le indicazioni. Giunto all’abitazione dell’eremita (che c’era davvero!), vi trovò però la porta chiusa. Non osando bussare, il re delle scimmie balzò allora su un pino, dove cominciò a rompere le pigne per mangiare i pinoli. Poco dopo si udì un intenso sferragliare provenire dalla porta, che finalmente si aprì: ne fece capolino un ometto mingherlino ed emaciato, dal capo completamente rasato che, infastidito dal rumore provocato dal nostro, disse:

«Che animale è mai quello che fa tutto questo fracasso?»

Il re delle scimmie saltò giù dall'albero, s’inchinò e disse con risolutezza:

«Sono io colui di cui tu parli! Vengo ad imparare la verità, della quale gli uomini al giorno d’oggi sono privi. Non oso certo fare chiasso!»

Allora il discepolo scoppiò a ridere e disse:

«Il nostro maestro era immerso nella meditazione, quando mi ha detto di far entrare la persona alla ricerca della verità. Ed ecco io esco e me ne trovo una davanti! Bene, vieni con me»

Emozionato, lo scimmiotto si sistemò i vestiti, si raddrizzò il copricapo ed entrò. Un lungo passaggio in pietra, tra magnifici edifici e capanne nascoste, conduceva al luogo dove il maestro Subhodi sedeva, eretto, su un sedile di marmo bianco. A destra e a sinistra, servizievoli e in totale silenzio, i discepoli. Il re delle scimmie si prostrò a terra e lo salutò umilmente. Interrogato, il giovane sovrano raccontò al maestro come fosse arrivato laggiù e quando gli fu chiesto il nome, egli così rispose:

«Io non possiedo un nome. Sono solo una scimmia nata dalla pietra!»

«Ebbene,» rispose il maestro «te lo darò io un nome. Ti chiamerai Sun Wu Kung»

Felice, il re delle scimmie ringraziò il suo maestro e da allora Sun Wu Kung fu il suo nome. Il maestro Subhodi ordinò ai discepoli più anziani di insegnare al nuovo arrivato a spazzare e pulire, ad uscire e ad entrare, a comportarsi bene, a zappare i campi e ad innaffiare l’orto. Dopo un po’, Sun Wu Kung imparò a scrivere, a bruciare incenso e a leggere correttamente i sutra. Passarono così, velocemente, sette anni.

Un giorno Subhodi salì sul suo scanno e cominciò a parlare della grande verità. Fu allora che Sun Wu Kung raggiunse l'illuminazione e, dalla gioia, cominciò a dimenarsi e a danzare come un folle. Ma il severo maestro lo rimproverò a dovere:

«Sun Wu Kung, Sei rimasto un po’ selvaggio! Come ti salta in mente di comportarti in modo così indecoroso?»

«Maestro,» replicò lo scimmiotto con un inchino «vi ascoltavo con grande attenzione, quando nel mio cuore le vostre parole si sono improvvisamente infiammate di senso e, del tutto inconsciamente, ho preso a ballare di gioia. Non stavo affatto sfogando la mia essenza selvaggia!»

«Se davvero hai raggiunto l’illuminazione,» disse il maestro Subhodi «voglio annunciarti la grande verità. Ma sappi che per arrivare ad essa ci sono trecentosessanta vie. Quale tao[18] vuoi che ti insegni?»

«Ma certamente quella che più vi aggrada, maestro» rispose Sun Wu Kung.

«Vuoi che t’istruisca nella magia?» domandò allora il maestro.

«Cosa si impara?» chiese a sua volta lo scimmiotto.

«S’impara a evocare gli spiriti, a interrogare l’oracolo e a prevedere la sorte, avversa o benigna che sia» sentenziò con solennità il maestro.

«Può servire per ottenere la vita eterna?» chiese lo scimmiotto.

«No» fu la fredda risposta.

«Allora non la voglio imparare» disse Sun Wu Kung.

«Vuoi allora che t’istruisca nella scienza?» domandò nuovamente il maestro.

«Che cos’è la scienza?» chiese lo scimmiotto.

«Sono le nove scuole delle tre religioni, mio discepolo. Si impara a leggere i libri sacri, a pronunciare le formule magiche, a stare con gli dèi e a evocare i santi» sentenziò con solennità il maestro.

«Può servire per ottenere la vita eterna?» chiese nuovamente lo scimmiotto.

«No»

«Allora non la voglio imparare» disse Sun Wu Kung.

«Ottima è la via del silenzio» disse poi il maestro Subhodi.

«Che cosa significa?» chiese lo scimmiotto.

«Si impara a vivere senza mangiare e a immergersi in una silenziosa contemplazione, avendo cura di rimanere immobili e puri» sentenziò il maestro.

«Può servire per ottenere la vita eterna?» chiese nuovamente lo scimmiotto.

«No»

«Allora non la voglio imparare» disse Sun Wu Kung.

«Ottima è la via del azione» riprese il maestro.

«Che cosa significa?» chiese lo scimmiotto.

«Si impara ad equilibrare le energie vitali, a esercitare il corpo, a preparare con successo l'elisir della vita e a dominare il respiro» sentenziò il maestro.

«Può servire per ottenere la vita eterna?» chiese nuovamente lo scimmiotto.

«No, nemmeno questa»

«Allora non la voglio imparare» disse Sun Wu Kung.

A questo punto il maestro si adirò, saltò giù dallo scanno ove era solito porsi a meditare e imprecò a gran voce:

«Questa scimmia capricciosa! Questo non lo vuole imparare e nemmeno quell’altro! Si può dunque sapere cosa cerchi?» urlò il maestro e colpì tre volte Sun Wu Kung sul capo con il bastone. Poi, incollerito, si ritirò nelle sue stanze sul retro, chiudendo ben bene le porte dietro di sé. Caduti in uno stato di profonda agitazione, i discepoli ricoprirono Sun Wu Kung di rimproveri e ingiurie di ogni sorta mentre costui, sorridendo tra sé e sé, aveva invece compreso il messaggio cifrato del suo maestro. E così riflettendo, andava formulando pensieri di tale genere: “Il fatto che mi abbia colpito tre volte sulla testa significa che debbo tenermi pronto per l’ora terza; il fatto poi che si sia ritirato nelle stanze sul retro e abbia chiuso la porta significa certamente che dovrò farmi trovare davanti alla porta posteriore dell’abitazione, ove egli mi incontrerà per rivelarmi in gran segreto la grande verità”. Sun Wu Kung aspettò quindi fino alle sei di sera, poi finse di andare a riposare insieme agli altri discepoli. Quando si fu vicini all’ora terza, lo scimmiotto si alzò pian piano e nel buio sgattaiolò davanti alla porta posteriore. Era davvero accostata. Egli entrò e si avvicinò al letto del maestro, che dormiva profondamente col viso rivolto alla parete. Non osando svegliarlo, il nostro si inginocchiò accanto al letto e, dopo un po’, udì che maestro borbottò questa filastrocca: il maestro si girò e borbottò una filastrocca:

“Assai dura è la prova di chi cerca la dottrina! Ma se la giusta persona non trova ad essa più non si avvicina!”

«Attendo rispettosamente, mio maestro» rispose Sun Wu Kung. Destatosi improvvisamente da quel piacevole sonno, Subhodi si gettò addosso la veste, si mise a sedere in mezzo al tatami[19] e, infuriato, urlò:

«Maledetta scimmia! Perché non sei a dormire con gli altri? Che ci fai qui?»

Confuso, Sun Wu Kung replicò: «Maestro, ieri sera mi avete accennato che dovevo entrare all’ora terza dalla porta posteriore per essere istruito nella verità. Ecco, ho osato dunque venire da voi a quest’ora. Se volete farmi la grande grazia di istruirmi, ve ne sarò grato in eterno».

A tal genere di parole pronunciate con grande onestà, il maestro allora pensò: “Questa scimmia ha davvero un bello spirito, se mi ha compreso così bene”. Disse allora:

«E sia, Sun Wu Kung. Ti sarà concesso. Voglio parlarti apertamente e con il cuore colmo di leggerezza. Avvicinati, ti insegnerò la strada che conduce alla vita eterna»

«Ah, mio maestro! Le vostre parole mi rallegrano. Ecco, siederò di fronte a voi a meditare e recepirò ogni cosa con sacro rispetto».


III.


«Sun,» incominciò il vecchio maestro col sorriso gioioso del Buddha «per comprendere la verità è necessario che tu conosca l’origine dell’universo e di tutti noi. Devi dunque sapere che all’inizio di tutte le cose nacquero spontaneamente tre kami[20] invisibili e vigorosi: Amanominakanushi[21], Takamimusubi[22] e Kamimusubi[23]. A costoro, che gli antichi chiamano Kami no hashira[24], si aggiunsero altre due divinità, nate da un germoglio di giunco, Umashi-ashikabi-hikoji[25] e Amanotokotachi[26]. Questi cinque kami erano chiamati le “Separate Divinità Celesti”, divinità primordiali che stabilirono la loro sede nel Takama no hara[27]. A loro seguì un ciclo di sette generazioni[28] di tenzai shoshin[29]: di queste, le ultime cinque contavano kami sia maschili e femminili, fratelli gemelli e al contempo compagni. Costoro vegliavano sul nostro mondo, allora ancora dominato dal caos poiché giovane e ricoperto solo da un brodo primordiale. E dalle nuvole, essi dissero:

― Il mondo sotto il cielo non è che una distesa di acqua salmastra, oleosa, priva di forma. Che qualcuno vada e formi la terraferma, affinché si possa andarvi a vivere ed abitare!

Accettarono l'invito gli ultimi nati della stirpe divina, l'augusto Izanagi[30] e la lucente Izanami[31]. Gli dèi allora acconsentirono e fecero loro dono della Ame-nu-hoko, la Lancia Gioiello del Cielo nella quale erano incastonate gemme di ogni sorta e magnificenza, poi dissero:

― Orsù, scendete dalla Pianura dell'Alto Cielo, dal caos formate ordine e generate un paese abitabile!

I due giovani dèi scesero sull’Ame-no-hashi-date[32] e, sospesi al di sopra delle acque salmastre e turbinanti, vi immersero dall'alto la lunga lancia. Quando la ritrassero, dalla punta di quella lancia gocciolò del fango che, rapprendendosi, cadde in mare divenendo la prima isola del mondo. Ebbene, quella è l'isola di Onogoro-shima[33]. Izanagi e Izanami scesero su quella piccola isola e là innalzarono un palazzo, retto al centro da una stupenda e solidissima colonna. Ma il loro lavoro era appena iniziato: a parte quel piccolo scoglio deserto, il mondo era ancora una massa di acqua senza forma e senza alcun alito di vita. Non vi era infatti nulla: né piante né animali né creature viventi e il paesaggio era piatto e spoglio. Un bel giorno, mentre riposavano in casa, le due divinità cominciarono a riflettere su come proseguire la loro opera di creazione e sul motivo per cui proprio loro due erano stati scelti dagli dèi per un simile compito. Dunque Izanami prese la parola e chiese a sua sorella:

― Sorella mia, dimmi, com'è fatto il tuo corpo?

― Il mio corpo è compatto e ben fatto ― ella rispose. ― In un sol punto esso presenta una strana rientranza.

― Anche il mio corpo è compatto e ben fatto ― rispose lui. ― Ma in un sol punto presenta una strana sporgenza. Tutto ciò, io credo, non può essere senza un motivo. Ascoltami bene, sorella. Se mettessimo la parte del mio corpo che sporge in quella parte del tuo corpo che rientra, che cosa credi che accadrebbe?

― Proviamo ― disse Izanami.

Poi, levatasi da terra, la dea corse intorno alla colonna al centro della casa. Izanagi fece altrettanto, andandole in contro però dalla parte opposta. Incontratosi, i due giovani si abbracciarono con trasporto.

― Che giovane amabile! ― disse Izanami.

― Che splendida fanciulla! ― replicò Izanagi.

Presto Izanami scoprì di essere incinta e, quando venne il momento del parto, ella diede alla luce un bambino debole e privo di ossa, a cui fu messo nome Hiruko[34]. Disgustati, i genitori lo misero su una barca di canne di bambù e lo abbandonarono in mare.

― Questo figlio non è stato ben concepito ― disse Izanagi. ― Dobbiamo avere sbagliato qualcosa. Andiamo a chiedere spiegazioni agli dèi celesti lassù, nel cielo»

“Gli dèi a volte sono spietati” pensò Sun Wu Kung.

«Allora,» continuò il maestro «Izanagi e Izanami salirono nuovamente sul Ponte Fluttuante del Cielo e andarono a interrogare gli dèi austeri. Costoro risposero con cipiglio:

― In verità, il concepimento di Izanami non è andato bene perché nel vostro incontro la donna ha parlato per prima. Ripetete la cerimonia nuziale ancora una volta e che questa volta l'uomo parli per primo!

Izanagi e Izanami ridiscesero dal cielo e ripeterono il rito nuziale secondo l’uso corretto.

― Che splendida fanciulla! ― disse Izanagi.

― Che giovane amabile! ― replicò Izanami.

Fu così che Izanami si trovò di nuovo incinta. Ma questa volta i figli nati da lei erano forti e in salute e divennero grandi e possenti divinità. Furono costoro infatti a proseguirono l'opera di creazione dei loro genitori formando altre otto grandi isole: le isole Awaji-no-ho-no-sa-wake[35]e Ō-ya-shima-kuni[36], l'arcipelago di Oki-no-mitsuko[37], le isole di Tsukushi[38], Iki e Ame-no-sa-te-yori-hime[39], l'isola di Sadō e quella di Ō-Yamato-toyo-akitsu[40]. Tutte queste isole formarono lo Ō-ya-shima-kuni[41]. A queste si aggiunsero poi altre sei isole minori. Così fu creata la divina terra di Yamato, il Giappone…».

Il maestro parlò ancora a lungo e, nel farlo, pronunciò anche una formula magica dal suono divino affinché la forza vitale del suo ascoltatore si raccogliesse nell’orecchio; poi gli spiegò parola per parola il senso segreto della vita e la verità di ogni cosa.

«L’elisir di lunga vita è nel corpo di ciascuno. È perder tempo cercalo fuori»

Sun Wu Kung ascoltava avidamente e, in poco tempo, seppe tutto a memoria. Compresa la verità, lo scimmiottò si alzò, ringraziò il suo maestro con un ampio sorriso, uscì dalla stanza e andò a dormire. Da quel momento in poi si esercitò nel giusto respiro, preservò il suo seme, la sua anima e il suo spirito e addomesticò la natura del suo turbolento cuore. Trascorsero altri tre anni, allo scadere dei quali egli fu pronto.

Un giorno il maestro gli disse:

«Ti minacciano ancora tre grandi pericoli, comuni a tutti coloro che raggiungono un livello straordinario, perseguitati come sono dall¹invidia di demoni e spiriti maligni. Solamente colui che supererà tali pericoli, vivrà quanto il cielo che ci sovrasta»

Allora Sun Wu Kung si spaventò e domandò: «C’è un modo per proteggersi da tali pericoli, maestro mio?»

Allora il maestro pronunciò una formula misteriosa e antica e investì Sun Wu Kung di un grande potere. Poi, stremato, gli disse:

«Figlio, ti concedo il potere. Sarai in grado di mutare forma per ben settantadue volte. Ma l’allenamento sarà duro e potrebbe privarti della vita. Ecco, una caverna ti attende. Per padroneggiare bene tutte le trasformazioni di cui disponi, ritirati lì e allenati duramente!»

Lo scimmiotto accettò di buon grado e, in pochi giorni, si era già impadronito di quest’arte. Un giorno, mentre il maestro passeggiava con i suoi discepoli proprio davanti alla caverna, chiamò Sun Wu Kung. Quando costui fu riemerso dalle buie profondità del luogo in cui si era ritirato con i vestiti smessi e zuppi di sudore, il maestro gli domandò:

«A che punto sei con la tua arte? Hai imparato anche a volare?»

«Certamente, maestro!» rispose quello.

«Mostrami!»

Lo scimmiotto prese lo slancio e saltò. Arrivò a molti piedi dal suolo, tanto che sotto di lui si ammassavano le leggere nuvole, sulle quali riuscì a camminare per parecchie centinaia di piedi. Poi dovette scendere al suolo.

Ridendo, il maestro disse: «Questo si chiama “strisciare tra le nuvole” e non librarsi sulle nuvole, come invece devono saper fare gli dèi e i santi che in un giorno attraversano tutto il mondo. Ti farò dono di una formula magica in grado di chiamare a te una kinto’un, una nuvola d’oro che ti renderà in grado di volare sul mondo e attraversare le nuvole in grande velocità. Con un simile prodigio, coprirai una distanza di diciotto miglia!”

Felicissimo, Sun Wu Kung ringraziò il maestro e imparò la formula: da quel momento in poi fu in grado di muoversi senza limiti di spazio, a cavallo di una fedele nuvoletta dorata, velocissima e rispendente come il sole. Un giorno egli era seduto con gli altri discepoli sotto il pino, davanti alla porta, e chiacchiera insieme a loro dei misteri della dottrina. A un certo punto i discepoli lo pregarono di dare loro un assaggio della sua arte metamorfica. Sun Wu Kung non riuscì a tenersi il suo segreto e acconsentì.

Sorridendo, disse:

«Assegnatemi un compito! In che cosa volete che mi trasformi?»

«Prova dunque a trasformarti in un pino!» dissero quelli.

Sun Wu Kung pronunciò una formula, girò su se stesso e già davanti a loro c’era un robusto pino. A quella vista, scoppiarono tutti a ridere. Udito quel chiasso, il maestro venne alla porta, strascinandosi dietro il suo bastone. Poi li aggredì:

«Qual è il motivo di tutto questo baccano?» urlò.

«Sun Wu Kung si è trasformato in un pino!» risposero «Ecco il motivo delle nostre risate, o sommo!»

«Dunque, è così? Sun Wu Kung vieni qui!» chiamò il maestro con furia «Cosa ti metti a fare? Che bisogno hai di trasformarti in un pino? Tutto il lavoro che hai fatto ti serve soltanto a fare magie davanti agli altri? Ciò significa allora che non sei ancora in grado di dominare il tuo cuore»

Sun Wu Kung chiese umilmente perdono al suo maestro. Costui allora gli disse:

«Io non serbo rancore nei tuoi confronti, ma devi andare via»

«Ma, maestro…» rispose Sun Wu Kung con le lacrime agli occhi «Dove dovrei andare?»

«Ritorna da dove sei venuto» sentenziò il maestro.

Poi, quando lo scimmiotto prese congedo, ancora una volta il maestro lo minacciò:

«Con i tuoi modi selvaggi e privi di senno, ti attirerai senz’altro qualche altra sciagura! Non dire a nessuno che sei stato mio discepolo! Se lascerai trapelare qualcosa riguardo a ciò, sappi che prenderò la tua anima e la rinchiuderò nel più profondo dello Yomi no kuni[42], dal quale non uscirai mai più!».

«Non dirò niente a nessuno, a nessuno!» promise Sun Wu Kung e, ringraziando ancora per la benevolenza che gli era stata dimostrata in quegli anni di apprendistato, pronunciò sottovoce una formula magica, fece una capriola e salì sulla nuvola kinto’un, che era stata da lui richiamata.


IV.


Dopo un’ora di viaggio sulla fedele nuvoletta dorata, era sul mare. Vide davanti a sé la Montagna dei fiori e dei frutti e, con la lieta sensazione di essere tornato a casa, vi si diresse. Manifestatosi alle altre scimmie della caverna, discese dalla kinto’un e a loro si rivolse a gran voce:

«Figli miei, ho fatto ritorno a casa!»

All’udir ciò, le scimmie uscirono a frotte dalla valle, da dietro le rocce, dall’erba alta e dagli alberi. Grandi e piccine, arrivarono a migliaia, lo circondarono, lo salutarono, lo abbracciarono gli fecero domande sul suo viaggio.

Sun Wu Kung allora disse: «Adesso so come si ottiene la vita eterna e non temo più di morire e d’essere intaccato dalla vecchiaia!»

Le scimmie ne furono felicissime e fecero a gara nel portagli fiori e frutti, pesche e vino, in segno di saluto e rispetto: vi fu grande festa e di nuovo venerarono in lui il bel re delle scimmie. Sun Wu Kung radunò allora le scimmie attorno a sé e s’informò su quanto era successo durante la sua assenza.

«Meno male che siete tornato, tennō[43]!» risposero le scimmie «Ultimamente è giunto alla nostra dimora un feroce oni[44], che voleva a tutti i costi impadronirsi della nostra caverna. L’abbiamo sconfitto, ma lui si è portato via molte delle nostre figlie e, di certo, farà ritorno! Aiutateci, sommo, siamo disperate!»

Sun Wu Kung si adirò fortemente e, con un ruggito che scosse il cielo, tuonò: «Chi? Chi è quel demone che osa compiere azioni tanto nefaste e infami presso la nostra dimora?!»

Intimorite anch’esse da tale furore, le scimmie prontamente risposero: «È l’orco sovrano del Caos! Abita al nord, a chissà quante miglia di distanza! L’abbiamo visto andare e venire tra la nebbia e le nubi!»

«Ebbene» ruggì Sun Wu Kung «Vedrete che gliela farò pagare a caro prezzo!». Poi saltò sulla fedele nuvola kinto’un e scomparve, veloci, tra le nuvole cremisi del tramonto. Nell’estremo Nord c’è una montagna sul cui pendio si trova una caverna con su scritte le parole “Caverna dei reni”. Davanti all’entrata di tale luogo danzava, rischiarato da un voluminoso e fumoso fuoco, un nugolo di piccoli demoni. Giunse Sun Wu Kung dai cieli con grande impeto e, al chiarore della luna piena, così li aggredì:

«Idioti!» disse loro digrignando i possenti denti «Dite subito al vostro oscuro padrone che Sun Wu Kung, sovrano delle scimmie dell’Isola dei fiori e dei frutti, è giunto sino alla sua dimora! Rivoglio i miei figli!»

Spaventati, costoro abbandonarono la danza e il fuoco per andare ad informare il loro signore, all’interno della caverna. Il demone – terribile e gigantesco nell’aspetto, nero e fosco come il fondo di un paiolo, villoso in ogni parte del corpo e provvisto di grandi corna spesse e robuste – dormiva seduto su un trono fatto di ossa e spade spezzate. Fu svegliato dal chiasso di fuori e dallo sferragliare della porta d’ingresso. Ne emerse un diavoletto scarno e affannato che indossava un elmo scheggiato più grande di lui e impugnava una lancia spezzato. Costui urlò con voce stridula e impaurita:

«Sommo sovrano, sommo Gokui[45]! Fuori si è palesato un nemico feroce che chiama se stesso sovrana di un qualcosa di un-non-so-che! Vuole che gli sia restituito ciò che è suo! Signore, lo scontro è inevitabile!».

«Ah, miserabile pezzente!» urlò il re demone «Costui cerca rogne proprio nel momento in cui io riposo beato! Mangerò le sue carni, divorerò i suoi organi e con le sue ossa farò cucinare un ottimo stufato!»

Poi si alzò in piedi con fragore, indossò un’armatura nera spaventosa nel sembiante, impugnò una gigantesca masakari[46] e uscì nella notte per affrontare il suo indesiderato ospite. Era così grande e possente che non riuscì a scorgere Sun Wu Kung. Poi, gonfiando il petto, latrò così forte da far tremare ogni albero e creatura della foresta:

«Dove sei, scocciatore? Stanotte morirai per mano mia, per mano del possente Gokui!»

«Ah, dannato diavolo! Dov’è che guardi per non riuscire a vere il vecchio Sun!»

Allora il demone guardò ai suoi piedi e vide davanti a sé una scimmia di pietra, vestita di rosso e a capo scoperto, con una cintura gialla e calzature nere. A quella vista, Gokui scoppiò a ridere e disse:

«Non arrivi a quattro piedi d’altezza e ai trent’anni d’età, non sei armato e osi fare tutto questo chiasso! Sei una folle, stupida creatura!»

«Se mi trovi troppo piccolo, in verità posso anche crescere. Mi disprezzi perché sono disarmato, ma bada bene: con i miei pugni posso arrivare anche al cielo!» rispose prontamente il prode Sun Wu Kung e, così dicendo, strinse i pugni e, spiccato un poderoso balzo, colpì violentemente il demone in pieno volto, stordendolo.

Il diavolo era grosso e goffo. Sun Wu Kung gli saltellava agile intorno e lo colpiva ripetutamente tra le costole e i fianchi, con una grandinata di colpi che si faceva via via sempre più fitta. Nella sua disperazione, Gokui sollevò la sua enorme ascia al di sopra della testa e vibrò un colpo che avrebbe facilmente squarciato la volta del cielo. Ma Sun schivò facilmente l’attacco e, al contempo, ebbe un’idea. Si strappò un pelo della testa, se lo infilò in bocca, lo masticò e poi lo sputò in aria dicendo:

«Trasformati!»

Improvvisamente il capello si mutò in molte centinaia di scimmiette, che si avventarono tutte contro l’enorme demone. Era questa la straordinaria capacità di moltiplicazione di Sun Wu Kung. Si racconta infatti che egli avesse sul capo ottantaquattromila peli e che fosse in grado di trasformarli tutti. Coi loro occhi vispi, le scimmiette saltellavano ovunque, circondando il diavolo re da ogni parte: lo percossero, lo accecarono, gli strapparono l’armatura e lo tirarono per le gambe fino a farlo cadere rovinosamente al suolo, con un grande boato. Allora gli si avvicinò anche Sun Wu Kung che, toltogli la gigantesca masaraki di mano (la sua forza era infatti grande sino a quel punto), gli divise la testa in due metà, come si fa con un melone. Successivamente il vincitore entrò nella caverna e liberò i suoi figli tenuti prigionieri; si riprese i peli che aveva trasformato; accese un fuoco e arse fino in fondo la Caverna dei reni. Poi, dopo aver sottratto al cadavere del demone la masaraki, prese con sé le scimmie liberata e, in un vortice magico di vento, torno alla sua amata Caverna del Sipari d’Acqua, sulla Montagna dei fiori e dei frutti. Quivi fu salutato con gioia e giubilo da tutte le scimmie.

Da quando aveva la grande ascia del re demone, Sun Wu Kung faceva esercitare i suoi sudditi tutti i giorni: costoro possedevano spade di legno e lance di bambù e modulavano i loro inni di guerra su zufoli di tenue canna. Il sovrano fece dunque costruire loro un accampamento per affrontare qualsiasi minaccia esterna.


V.


Un giorno, mentre camminava serenamente nel suo nihon teien[47], fuori dalla caverna, il re fu così turbato nel pensiero “Se continuiamo così, potremo forse indurre un re – umano o animale che sia – a muoverci battaglia. E noi, con le nostre spade di legno e lance di bambù, non saremo certamente all’altezza di resistere!”. Chiese perciò consiglio alle sue scimmie. Al suo cospetto si presentarono allora quattro babbuini, che gli dissero:

«Sommo tennō, nella capitale del regno di Aulai ci sono guerrieri a non finire. E ci sono anche abili fabbri che sanno lavorare il rame e il ferro. Che ne direste se comprassimo acciaio e ferro e ci lasciassimo forgiare armi da costoro?».

Una capriola e Sun Wu Kung era già alle porte della città. Si disse: “Mettersi a comprare le armi non è molto decoroso. Preferisco di gran lunga fare un incantesimo e prendermene qualcuna…”. Soffiò allora per terra: fu generata una tromba d’aria che sollevò sabbia e pietre e impaurì tutti i guerrieri, che abbandonarono la città a gambe levate. Il re andò allora nel deposito, si strappò un pelo e lo trasformò in migliaia di scimmiette che afferrarono le armi. Poi, salito sulla fedele nuvola d’oro, prese la via di casa. Qui radunò tutto il suo popolo e lo contò: erano in tutto quarantasettemila unità. L’intera montagna fu messa sottosopra, con tutti gli animali fatati e i principi degli spiriti: tutti ormai veneravano Sun Wu Kung come unico e solo re delle bestie della Montagna dei fiori e dei frutti. Un giorno il re delle disse:

«Adesso voi avete le armi! Ma quest’ascia che tempo fa sottrassi al re demone dopo averlo ucciso io stesso non mi va più bene, è troppo leggera: infatti cresciuti sono la mia forza e il mio vigore! Che fare?»

Si fecero allora avanti i quattro babbuini, che dissero

«Con il vostro possente ki [48], o nostro re, non troverete in tutto il mondo armi che possano andar bene al caso vostro! Voi potete anche camminare sulle acque, non è forse vero?»

«Tutti gli elementi sono a me sottomessi e riconoscono in me il loro padrone,» rispose Sun «e non vi è luogo in cui io non possa andare!»

E i babbuini a lui: «O sommo, il fiume che scorre accanto alla nostra caverna sfocia nel gran mare salato, presso il Ryūgū-jō, il palazzo di cristallo di Ao Kuang, il re Drago del mare dell’Est. Se le vostre forze magiche vi sorreggono, potete andare da costui e farvi da lui dare un’arma degna della vostra forza!».

Il re delle scimmie balzò contento sul ponte di ferro e pronunciò una formula magica. Poi si gettò tra le onde, che per prodigio si divisero davanti a lui, e vi corse attraverso per lungo tempo, con la speranza di giungere prima o poi, senza intoppi di alcuna sorta, al castello di cristallo, nelle profondità degli abissi. Improvvisamente, attraverso la parete d’acqua che si sollevava verso il cielo, alla sua destra, Sun scorse un’ombra. Era un tritone a cavallo di un namazu[49] marino. Facendogli cenno con le braccia e col capo, compiendo grandi balzi e piroette, Sun gli chiese:

«Ehi tu! Il mio nome è Sun Wu Kung e sono il sovrano delle scimmie della Montagna dei fiori e dei frutti, lassù, in superficie. Dimmi, ti prego, chi sei tu e qual è la strada più veloce che possa condurmi al palazzo di cristallo di Ao Kuang?»

E la creatura marina a lui: «O benedetto dai raggi della rilucente Amaterasu[50] e del suadente Tsukuyomi[51], il mio nome è Toyotama e sono il vicino più prossimo a Ao Kuang, re Drago del mare dell’Est. Sei fortunato, giungo appunto per fargli visita»

«La tua è una splendida notizia, amico! Ti prego di scortarmi con te sino al palazzo sommerso!» rispose Sun.

I due si misero in cammino e ben presto giunsero al Ryūgū-jō: era questo una vera e propria fortezza marina e si ergeva, bellissimo e imponente, in mezzo a una pianura marina piena di alghe e molluschi di ogni sorta. Il tritone annunciò Sun Wu Kung (che nel frattempo, con una formula magia, aveva ottenuto l’abilità di respirare sott’acqua) alla porta. Venne subito ad accoglierli il sovrano in persona: un essere antropomorfo, bassino e dai lunghi baffi argentati, ricoperto da scaglie cerulee e risplendenti come le prime acque. Indossava un kimono di pregio, una larga cintura di stoffa amaranto e una collana di coralli. Aveva l’aria di essere antico e venerabile. I due entrarono in un ampio salone e furono invitati dal sovrano marino in persona a prendere un tè. Sun Wu Kung disse:

«Sommo re degli abissi dell’Est, ho raggiunto l’illuminazione e ottenuto l’immortalità. Ho istruito i miei figli nell’uso delle armi per proteggere la nostra montagna. Tuttavia, non riesco a trovare un’arma adatta a me. Sono venuto a chiedervene una in prestito»

Il re dei draghi ordinò al generale Akagarei[52] di portare un gran giavellotto, ma Sun Wu Kung non ne fu soddisfatto. Ordinò allora al maresciallo Unagi[53] di portare un forcone a nove punte che pesava oltre tremilaseicento libbre ma, soppesandolo con la salda mano, il sovrano delle scimmie disse:

«Troppo leggero! Troppo leggero!»

Spaventato dall’enorme ki del suo ospite, il Re Drago dell’Est fece portare allora l’arma più pesante che possedeva: un poderoso sai[54] che pesava oltre settemiladuecento libbre. Ma anche quel peso era cosa da poco per Sun Wu Kung. Ao Kuang gli assicurò allora che, nel suo regno, non esistevano manufatti più pesanti di quello che facilmente, ora, Sun faceva roteare su di sé ridendo. Alla fine entrarono nel salone anche la Regina Drago Ootohime e sua figlia Shizune. Costoro, notando che Ao Kuang stava per perdere la pazienza, lo rimproverarono in disparte:

«Non è bene attaccar briga con un santo, non è bene affatto! Nel nostro mare c’è anche la grande asta di ferro, che ha nome di Nyobo. Negli ultimi tempi mandava un bagliore rossastro, senz’altro segno del fatto che la sua ora era vicina…».

A queste parole, Ao Kuang ribatté: «Ma si tratta del manufatto antico con cui il grande Yu[55], al tempo in cui riordinò le acque, stabilì la profondità del mare e dei fiumi. È una delle quattro colonne che tengono l’Oceano al suo posto, non possiamo assolutamente toglierlo dal suo posto, nelle profondità marine…»

La regina allora rispose «Mostra il manufatto al re delle bestie. Quel che farà a noi non interessa»

Ao Kuang condusse allora Sun Ku Wung nel luogo in cui era conservata l’asta portentosa che, seppur in lontananza, emanava già un intenso bagliore dorato: era questa infatti nient’altro che un enorme e possente bastone di ferro con puntali d’oro su entrambe le estremità. Sun Wu Kung provò a sollevarla con tutte le sue forze, poi disse:

«È troppo pesante! Dovrebbe essere un po’ più corta e sottile!»

Non appena ebbe proferito queste parole, l’asta si rimpicciolì. Allora Sun riprovò a sollevarla, questa volta con successo. Inoltre egli si accorse che, a comando, essa cambiava dimensione, allungandosi e rimpicciolendosi – talvolta anche sino a raggiungere le dimensioni di uno spillo – seguendo la volontà di chiunque la brandisse. Fuori di sé dalla gioia, Sun Wu Kung cominciò a percorrere il mare in lungo e in largo con il suo nyobo, tanto da sollevare onde alte come monti che fecero tremare il castello del Drago fin nelle fondamenta. Ao Kuang tremava dal terrore e tutti i pesci, tartarughe, molluschi e granchi ritrassero la testa. Sun Wu Kung disse allora ridendo:

«Grazie mille per il bel regalo, maestà del mare dell’Est!», poi proseguì «Adesso possiedo un’arma degna, ma non possiedo un’armatura. Prima di andare a cercare altrove, sarei ben lieto se voi mi prestasse anche l’armatura!»

Il re Drago rispose che di armature proprio non ne aveva. Al che allora lo scimmiotto disse:

«Non andrò via, maestà risplendente, finché non me ne procurerai una!» e già ricominciava a roteare furiosamente l’asta allungabile.

«Ah, non farmi alcun male!» lo implorò atterrito Ao Kuang «Voglio chiedere ai miei fratelli se dispongono di ciò che tu chiedi». Poi, con un cenno, fece squillare un tamburo di ferro e rintoccare una campana d’oro finché, in un batter d’occhio, nella stanza giunsero da tutti i mari i numerosi fratelli del re Drago del mare dell’Est. In disparte, costui in tal modo parlò ai fratelli:

«Saggi fratelli dei profondi e pericolosi abissi, c’è alla mia dimora – come ben potete vedere se aguzzate la vista e l’ingegno – un tizio molto pericoloso, una bestia del mondo in superficie che è meglio non irritare oltremodo! Prima mi ha preso l’asta dai puntali d’oro e ora brama una possente armatura! Ebbene, io dico che la cosa migliore è dargli ciò che cerca e successivamente denunciare la cosa al Signore del Cielo!»

Impauriti dalle parole dell’autorevole fratello, i nuovi ospiti consegnarono allora a Sun Wu Kung un’armatura fatata tutta dorata, con tanto di elmo e stivali fatati anch’essi. Profondamente soddisfatto della cosa, il re delle bestie di superficie ringraziò le creature del mare e in un batter d’occhio fece ritorno alla Caverna del Sipario d’Acqua, a casa.


VI.


Giunto alla sua amata dimora, Sun Wu Kung salutò raggiante i figli che gli si facevano incontro e mostrò loro l’asta con i puntali d’oro. Vennero tutti per provare a sollevarla, ma era come se una libellula volesse abbattere un pilastro di pietra o una formica trasportare sul dorso una grande montagna. Non si mosse di un pollice.

«Padre, ma come hai fatto a trasportare una cosa tanto pesante?»

E Sun rivelò loro il segreto dell’asta e glielo mostrò. Si dedicò poi al riassestamento del suo regno: i quattro babbuini furono nominati marescialli e lui fu affiancato da sette spiriti animali, i più autorevoli dei quali erano certamente Gyū[56], Ryū[57], Shishi[58] e Tsuru[59]. Un bel giorno tutti gli animali della Montagna dei fiori e dei frutti fecero festa e si ubriacarono. Sun aveva già ridotto l’asta e l’aveva nascosta ben bene nell’orecchio. Poi si addormentò e vide venire in sogno due uomini che portavano un biglietto con su scritto “Sun Wu Kung”. Poiché Sun fu restio a seguirli, costoro lo legarono e si presero il suo spirito. Quando i tre giunsero alle porte di una grande città, il re delle scimmie cominciò a riprendersi dalla sua ubriachezza e notò una grande insegna sulla porta della città: vi era scritto a caratteri cubitali e ben leggibili “Yomi no kuni[60]”. In lui si accese allora d’un tratto un lume e disse:

«Forse, qui abitano i dieci divini Shinigami[61]? Ma io da tempo, ormai, sono stato sottratto alla giurisdizione della morte… come osano costoro trascinare fin quaggiù colui che non può perire?».

Più Sun Wu Kung ci pensava e più s’infuriava. Si tolse dall’orecchio l’asta nyobo, la brandì saldamente e tuonò con impeto:

«Nyobo, allungati!»

I due loschi sgherri furono immediatamente ridotti in poltiglia. Poi, lo scimmiotto lacerò la fune che lo teneva legato ed entrò nella città oscura, tra le ombre più fitte. Pur se qui Sun Wu Kung vide le creature più orribili e tremende – gli Akashita[62], le Aoandon[63], gli Yūrei[64], le spaventose e viscide Jorōgumo[65] e altri esseri –, egli continuò senza paura il suo cammino, fino a quando non giunse al cospetto dei dieci Shinigami. Costoro, spaventati oltre ogni dire, gli si prostrarono ai piedi e gli chiesero:

«Chi sei, mortale?»

«Se non mi conoscete, perché mi avete fatto rapire e portare sin qui?» rispose impettito lo scimmiotto e poi aggiunse «Io sono il santo Sun Wu Kung, nato dalla pietra, potente sovrano delle scimmie della Montagna dei fiori e dei frutti, lassù, nel mondo dei vivi! Svelti, ditemi come vi chiamate o vi ridurrò a brandelli!»

I dieci dei della morte gli dissero umilmente i loro nomi. Poi, il sovrano delle bestie proseguì:

«Io, il vecchio Sun, ho ottenuto la vita eterna! Non avete niente da dirmi! Prendete subito il Libro della Vita!»

Non osando contraddirlo, i dieci Shinigami mandarono subito uno scrivano dal volto coperto a prendere il testo ultraterreno. Ricevutolo, lo scimmiotto sedette al suolo, di terra rossa e polverosa, e lo aprì. Andò, veloce, alla voce “scimmie” e lesse a voce alta:

«Sun Wu Kung, la scimmia di pietra generata dal cielo. Vivrà trecentoquarantadue anni, per poi morire senza aver contratto malattia alcuna».

Scosso per aver scoperto la durata della sua vita, Sun Wu Kung chiese agli Shinigami un pennello e dell’inchiostro e, non appena li ebbe ricevuti, cancellò dal divino Libro tutte le scimmie. Poi lo gettò al suolo e gridò, gli occhi iniettati di sangue:

«Il conto è saldato! Da oggi non lascerò che nessuno di coloro che amo vengano presi da voi!».

Poi lasciò gli Inferi facendosi strada con la sua asta. I dieci Shinigami non osarono fermarlo, pur denunciandolo subito all’augusto Signore del Cielo. Quando Sun Wu Kung ebbe lasciato la città, scivolò e cadde al suolo. Fu in quel momento che il sovrano delle scimmie si svegliò e comprese che aveva a lungo sognato. Chiamò allora a sé i quattro babbuini, esclamando:

«Straordinario! Straordinario! Sono stato trascinato nello Yomi no kuni, presso il Castello della Morte, dove ho provocato un gran bel trambusto! Mi sono fatto consegnare il libro della vita e ho cancellato l’ora della morte di tutte noi scimmie!».

Da allora le scimmie di quella montagna non morirono più, perché negli Inferi il loro nome era stato cancellato.


VII.


Mente l'Imperatore di Giada, Signore del Cielo, si trovava nel suo castello e aveva radunato attorno a sé tutti i suoi servitori entrò nell’immenso salone un venerabile santo, gli si inchinò e subito parlò:

«Venerabile e splendente Imperatore dell’alto Cielo,» disse con ossequio «il re Drago del Mare dell’Est intende denunciare un impudente scimmiotto di pietra, che chiama sé stesso sovrano delle bestie della Montagna di fiori e frutti del mondo terreno. Pare che costui gli abbia sottratto il leggendario nyobo e una delle sette armature splendenti dei mari…»

Mentre ancora parlava, entrò un altro santo e parlò con un ossequio maggiore:

«Divino e rifulgente Imperatore dell’alto Cielo, i dieci Shinigami sovrani dello Yomi no kuni intendono denunciare un impudente scimmiotto di pietra, che chiama sé stesso sovrano delle bestie della Montagna di fiori e frutti del mondo terreno. Pare che costui abbia trovato il modo di cancellare il suo nome dal Libro della Vita, laggiù nel mondo delle ombre perdute…»

Con serenità il sovrano del Cielo dette un’occhiata a quelle denunce, che riferivano entrambe il comportamento indecoroso e selvaggio di Sun Wu Kung. Allora il suo comando fu veloce come il fulmine e preciso come la potente saetta:

«Scenda un dio sulla terra e faccia prigioniero il colpevole!»

Si fece allora avanti Kin'yōbi, la stella della sera, e disse:

«Sommo Imperatore, questa scimmia è nata dall¹energia più pura di cielo, terra, sole e luna. Essa ha raggiunto l’illuminazione ed è diventata immortale. Pensate, o supremo, al vostro grande amore per tutti i viventi e perdonategli il suo peccato. Emanate un decreto con il quale lo convocate in cielo e gli affidate un incarico, affinché possa ravvedersi dalla sua superbia e dalle malefatte compiute in nome di essa. Se infrangerà ancora i vostri comandamenti, che sia punito senza misericordia!»

Soddisfatto della proposta, l’Imperatore di Giada fece preparare il decreto e ordinò a Kin'yōbi di consegnarlo a Sun Wu Kung. La divinità salì su una nuvola coloratissima e con quella arrivò sulla Montagna di fiori e frutti. Quivi, incontrato lo scimmiotto, disse:

«Il sovrano dell’alto cielo ha sentito parlare delle tue azioni e voleva punirti. Io sono Kin'yōbi, la Stella della Sera del cielo d’Occidente e ho voluto intercedere per te. Egli mi ha allora ordinato allora di portarti in cielo per affidarti un incarico»

«Stavo giusto pensando che mi sarebbe tanto piaciuto fare una visitina in cielo…» rispose felicissimo Su Wu Kung «e ecco che subito arrivate voi, o vecchia stella, che mi ci conducete!»

Poi lo scimmiotto convocò i quattro babbuini e li esortò: «Abbiate cura della nostra cara Montagna, mentre io vado a fare una capatina in cielo!»

I due salirono insieme sulla nuvola colorata e ascesero. Tuttavia, mentre erano in viaggio, Sun Wu Kung pensò “Che lentezza! Sicuramente con la mia fedele kinto’un raggiungerò più velocemente il cielo!” e, chiamando la fedele nube dorata, vi saltò su e seminò in un’istante la divinità, che rimase molto sorpresa. Giunto davanti alla porta meridionale del cielo, Sun Wu Kung discese rapidamente dalla nuvola d’oro e altrettanto rapidamente la attraversò, con fare tranquillo. La guardia provò a trattenerlo, ma egli non ne volle sapere. Mentre discutevano, arrivò la Stella della Sera e molto s’impegnò per chiarire la faccenda. Lo lasciarono così entrare nel castello del Sovrano del Cielo ma, arrivato al cospetto di quest’ultimo, non volle inchinarsi a lui, come sarebbe stato opportuno. L’Imperatore di Giada fissò lo scimmiotto impudente per alcuni minuti, poi dischiuse le rosate labbra:

«Questa creatura pelosa con le labbra a punta che in maniera così sfrontata mi si para innanzi» cominciò a parlare «è dunque Sun Wu Kung?»

«Sono io colui di cui tu dici, Imperatore» rispose Sun.

Costernati e insolentiti, i servitori del Signore del Cielo allora esclamarono:

«Questa selvaggia scimmia insulta il Cielo e noi stessi! Non si inchina nemmeno e arriva a chiamarsi da sola! Il suo crimine merita sette volte la morte!»

Intervenne però l’Imperatore di Giada: «Costui viene dal mondo e non è ancora abituato alle nostre regole. Suvvia, perdoniamolo».

Detto ciò, il divino ordinò che a Sun Wu Kung venisse affidato un incarico. Il Maestro di Corte allora prese la parola e così parlò:

«L’unico posto libero attualmente, divino, è quello di funzionario nella scuderia, come Bìmǎwēn, “Custode dei Cavalli celesti”»

«Sia costui nominato allora nominato “Custode dei Cavalli celesti» rispose il Sovrano del Cielo e comandò che a lui venissero consegnate la nomina e una nuova tunica da lavoro.

I servitori dissero allo scimmiotto che doveva ringraziare per questo onore e costui gridò allora forte:

«Agli ordini, sommo Imperatore del Cielo!»

Poi, ricevuto l’atto di nomina e la tunica con un rifulgente stemma, si recò velocemente nella scuderia per prendere subito possesso del suo ufficio. Nei giorni che vennero Sun Wu Kung ricoprì il suo incarico con grande zelo: i Cavalli Celesti prosperavano magnificamente e, prima che se ne potesse accorgere, erano già passati dieci giorni. I suoi amici celesti organizzarono allora un banchetto in suo onore, per celebrarne l’impegno e lo zelo. Durante un brindisi, di sfuggita egli chiese:

«Ditemi, o venerabili, che nome è “Maestro di Stalla”?»

«Ebbene, indica una carica!» risposero con solerzia gli interrogati.

«Ebbene,» riprese Sun «che rango ha codesta carica?»

«Nessun rango, in verità» fu la risposta.

«Ah!» rispose allora Sun «È dunque tanto alta da essere superiore a tutte le altre presenti in Cielo, nel Mondo degli uomini e in quello dei Morti?»

«Ah ah ah!» risero gli alti sacerdoti «È tutto fuorché questo! Non si tratta di un’alta carica, non si trova neppure nella lista dei ranghi! È una posizione del tutto marginale! Si deve esclusivamente badare ai Cavalli celesti: se essi ne traggono giovamento e ingrassano, positivo sarà il giudizio che otterrà lo scudiero; se invece il contrario sarà, se i Cavalli celesti si ammalano e cadono preda dei dieci Shinigami dello Yomi no kuni, ne seguirà un giudizio opposto e una punizione impietosa!»

Il re delle scimmie ci rimase malissimo e sbraitò, versando il suo liquore: «Trattare così me?! Sulla mia Montagna dei fiori e dei frutti, nel mondo dei mortali, ero sovrano e padre! Perché dunque mi conducete qui, nel Cielo, a dar da mangiare a dei Cavalli?! Non lo faccio più! Non voglio! Non sia mai più così!»

Detto fatto: lo scimmiotto aveva già rovesciato il tavolo. Si tolse dall’orecchio il nyobo, lo fece roteare con gran fragore e in tal modo si aprì la strada fino alla porta meridionale del Cielo. Nessuno osò fermarlo, nemmeno sua maestà.


VIII.


Ed ecco che Sun Wu Kung era tornato sulla Montagna dei fiori e dei Frutti, con i suoi che gli si affollavano intorno a domandargli, con fracasso e tumulto:

«Siete stato via più di dieci anni, sommo! Perché tornate soltanto adesso?»

«Come?» disse il re delle scimmie con sorpresa «Eppure in Cielo sono rimasto solo dieci giorni! Questo insulso Signore del Cielo non sa proprio come utilizzare la sua gente. Mi ha nominato Maestro di stalla e dovevo dar da mangiare ai suoi Cavalli. Mi vergogno mortalmente di ciò che ho fatto! Io, un sovrano forte, un immortale! Ah, ma non gliel’ho certamente fatta passare liscia! Ed ecco, ora ritorno nuovamente a voi!»

Per consolarlo dall’afflizione e ristorarlo dalla fatica, le sue scimmie gli prepararono subito un banchetto. Mentre brindavano, arrivarono in quel luogo due re dei demoni che gli portavano in dono una veste gialla. Poi uno di loro, dai denti affilati e sporchi, così parlò, tuonando:

«Con la vostra potenza e saggezza, sommo Sun Wu Kung, che bisogno avete di servire il Sovrano del Cielo? Sarebbe giusto chiamarvi gran santo, come quelli che oltre le nubi stanno!»

Contento di questi discorsi, lo scimmiotto di pietra deglutì il suo liquore, mandò giù un altro boccone di succulenta carne fumante e disse:

«Parlate bene, con grazia! Bene, sia fatto così!»

Poi egli ordinò ai suoi quattro babbuini di preparare una bandiera con su scritto, in caratteri cinesi, Qítiān Dàshèng, ossia “Grande santo uguale al Cielo”. Da allora si fece chiamare così.

Quando venne a sapere della fuga della scimmia, il Sovrano del Cielo ordinò a Li Dsing, il dio con la pagoda in mano e al terzogenito di quest’ultimo, Nezha, di arrestare il re delle scimmie e di condurlo nuovamente al suo cospetto.

«E sia come tu comandi, padre e nostro sovrano supremo» dissero i due avvolti dalla luce «muoveremo contro Sun Wu Kung alla testa dell’esercito celeste! Lo schiacceremo come l’insetto che è!»

Poi l’esercito si mosse e, giunto alla Montagna dei fiori e dei frutti, vi si accampò sulle coste. I due esseri divini allora mandarono un valoroso campione per sfidare in duello Sun Wu Kung. Ma costui, sconfittolo con facilità, lo mandò da dove era venuto gridandogli dietro:

«Pallone gonfiato! E ti definisci campione del Cielo? Non ti uccido nemmeno: corri subito a chiamare qualcuno che sia un po’ meglio di te! Io lo abbatterò ugualmente!»

Quando Nezha vide lo sconfitto, così pieno di lividi e graffi, si precipitò subito a prendere il suo posto:

«Forte è codesta scimmia!» disse al padre Li Dsing «Ma ha fatto irritare me, che sono un dio! Pagherà!».

Poi raggiunse con la rapidità del vento Sun Wu Kung, mentre ancora stava sciacquandosi le mani dalla polvere della battaglia precedente. Costui, vedendolo, lo apostrofò così:

«Dov’è tuo padre, piccolo? Qui non devi giocare, potresti farti male!»

«Maledetta scimmia insolente!» gli rispose Nezha con voce forte e chiara, mentre sguainava la spada «Io sono il principe Nezha e da mio padre ho ricevuto l’ordine di condurti al Cielo da prigioniero! Bada perciò a misurare le parole o al Cielo ti ci condurrò ugualmente, ma a pezzi»

«Ebbene, io da qui non mi smuovo idiota d’un dio!» ribatté Sun

«Come osi? Affrontami!» gridò Nezha e subito si tramutò in un essere con tre teste e sei braccia che tenevano sei armi differenti.

«Ehi, allora ci sai davvero fare, marmocchio divino!» lo canzonò Sun Wu Kung «Allora dovrò impegnarmi anch’io! Ecco, farò ricorso a una trasformazione pure io!» e, mentre parlava, assunse anch’esso la medesima forma del rivale: una creatura a tre teste e con sei braccia che facevano roteare tre nyobo dai puntali dorati.

«Vieni a prendermi, divinità dei miei stivali!» ruggì Sun Wu Kung. Poi sorrise, spavaldo. La battaglia, la sua casa.

Il combattimento cominciò e, pressato dallo scontro di quegli immensi ki, il cielo sembrava squarciarsi. I colpi grandinavano con tale velocità che sembravano migliaia i colpi che fendevano l’aria. Dopo trenta stoccate, il duello non era ancora deciso. Sun Wu Kung trovò allora una via d’uscita: si strappò un pelo, lo trasformò nella sua figura e la lasciò a combattere con Nezha, mentre con il suo corpo originale egli gli scivolava dietro. Accerchiato il dio, lo scimmiottò lo colpì allora violentemente con la sua asta al braccio sinistro, tanto che costui dal dolore si accasciò al suono e dovette ritirarsi, sconfitto. Ritornato al padre Li Dsing, così parlò:

«Padre, questa scimmia indiavolata è troppo potente! Io da solo non ce la faccio!»

Non restava allora nient’altro da fare che tornare al Cielo e ammettere la sconfitta. Appresa la funesta notizia, l’Imperatore di Giada abbassò la testa e cominciò a riflettere su chi potesse mandare per fronteggiare il pericoloso nemico. Si fece allora avanti Kin'yōbi, la stella della sera del cielo d’Occidente, e disse:

«Questa scimmia è tanto forte e coraggiosa che nessuno è alla sua altezza. Si è offesa perché l’ufficio di Maestro della Stalla affidatogli era di rango troppo infimo. La cosa migliore sarebbe graziarla e, secondo il suo volere, nominarla Qítiān Dàshèng, ossia “Grande santo uguale al Cielo”. Basterebbe infatti conferirle il titolo vuoto, senza collegarvi una carica e in tal modo sarebbe fatta, sommo padre. È infatti una carica inventata di sana pianta da demoni villani e privi di grazia».

Il Signore del Cielo apprezzò la feconda idea e di nuovo mandò Kin'yōbi a convocare Sun Wu Kung. Quando seppe del suo arrivo, costui disse:

«Kin'yōbi, la vecchia Stella della Sera, è una gran brava persona!»

Poi ordinò al suo esercito di disporsi su due ali per riceverla solennemente. Egli stesso indossò gli abiti della festa e le andò gentilmente incontro. Kin'yōbi incontrò il sovrano delle bestie e gli raccontò quanto era successo in Cielo; aveva poi con sé la nomina di Qítiān Dàshèng, ossia “Grande santo uguale al Cielo”. Il santo scimmiotto sorrise e disse:

«Già a suo tempo vi siete prodigata per me, vecchia e amabile Stella. E di nuovo avete voluto intercedere in mio favore. Grazie, grazie mille! Onore a voi!»

Mentre poi si presentavano insieme al Sovrano del Cielo, la Stella gli disse:

«Sun Wu Kung, il rango di Qítiān Dàshèng, ossia “Grande santo uguale al Cielo”, è assai alto. Bada bene che ora non puoi più fare storie!»

Il Gran Santo Sun Wu Kung ringraziò gli abitanti del Cielo. Il Sovrano ordinò inoltre a due bravi architetti di costruirgli un castello, ad Est del giardino dei peschi della madre-regina dell’Occidente, in cui fu successivamente insediato con tutti gli onori.


IX.


Adesso il Santo Sun Wu Kung era davvero a suo agio: aveva tutto quanto il suo cuore potesse desiderare e non era gravato di lavoro alcuno. Se la passava bene, altroché! Gironzolava liberamente e andava a trovare gli dèi ogniqualvolta ne avesse desiderio. E così, giorno dopo giorno, si aggirava tra le nubi del cielo, senza far niente. Un giorno, un saggio disse al sovrano del Cielo:

«Il santo Sun diventa ogni giorno più ozioso. Ho paura che nutra pensieri inutili. Sarebbe meglio conferirgli un qualche incarico, maestà…»

Il sovrano del Cielo convocò allora il Grande Santo e gli disse:

«Giovane santo Sun Wu Kung, presto matureranno le pesche della vita nel giardino dei peschi della madre-regina. Ti incarico di sorvegliarle. Mi raccomando: sii sollecito nel tuo servizio!»

La cosa piacque al Santo, che ringraziò per il grande privilegio concessogli. Poi egli si recò nel giardino, dove guardiani e giardinieri lo accolsero con riverenza. Domandò dunque loro:

«Ditemi, o lavoratori, quanti alberi ci sono un tutto in questo luogo?»

«Tremilaseicento.» fu la pronta risposta del giardiniere «Nel primo filare ce ne sono milleduecento: essi generano fiori rossi e i loro frutti sono piccoli; maturano ogni tremila anni e chi se ne nutre torna fresco e sano. I milleduecento nel filare del mezzo maturano invece ogni seimila anni: chi ne mangia, può librarsi al tramonto senza invecchiare mai. I milleduecento nell’ultimo filare danno frutti striati di rosso, dai semi piccoli piccoli; maturano ogni novemila anni: chi ne mangia, ottiene la vita eterna e rimane immutato per migliaia di eoni…»

Il santo Sun Wu Kung lo ascoltava soddisfatto. Dette un’occhiata agli elenchi e, da allora, venne a giorni alterni a controllare la situazione. Le pesche dell’ultimo filare erano quasi tutte mature. Quando giungeva nel giardino, egli mandava via guardiani e giardinieri e, con un pretesto qualsiasi, si arrampicava sugli alberi per mangiarne a volontà i frutti. In quel periodo la madre-regina d’Occidente era solita allestire un grande banchetto a base di pesche cui prendevano parte tutti gli dèi del cielo. Ella mandò allora le fate vestite di sette colori coi loro panieri a raccogliere le pesche. Costoro si presentarono dal guardiano e costui disse loro:

«Il giardino adesso è affidato al Gran Santo celeste, Sun Wu Kung. Ebbene, dovete prima presentarvi a lui» e, così dicendo, introdusse le sette fate nel giardino. Quivi cercarono il Gran Santo Celeste dappertutto, ma non lo trovarono. Le fate dissero allora:

«Abbiamo un compito da svolgere e non possiamo perdere tempo. Cominciamo a raccogliere»

Le fate riempirono alcuni panieri di pesche del primo filare. I peschi del filare di mezzo erano già più radi e di frutti ve n’erano pochi. Nell’ultimo filare era addirittura rimasta una sola pesca. Abbassarono il ramo e la colsero, poi lo lasciarono andare di scatto. Sun Wu Kung, che si era trasformato in un vermicello, aveva giusto fatto un pisolino su questo ramo. Dopo questo burrascoso risveglio, riprese le sue vere sembianze, afferrò il suo nyobo e fece per colpirle.

«Frena la tua collera, o grande Santo celeste!» esclamarono le fate «Veniamo per incarico della madre-regina del Cielo. Ecco, ci comanda di raccogliere i frutti dei filari del giardino celeste per servirle in un divino banchetto»

«Chi ha invitato la madre-regina?» domandò allora il Santo.

«Tutti gli dèi e i santi in cielo, sulla terra e nel mondo degli spiriti» risposero le fate.

«Ha invitato anche me?» domandò nuovamente il Santo.

«Non ne sappiamo niente» fu la secca risposta.

Allora il santo andò su tutte le furie, pronunciò una formula magica e disse:

«Ferme là! Ferme là! Ferme là!»

Le sette fate, impaurite, rimasero inchiodate sul posto e non furono più in grado di muoversi liberamente. Poi Sun Wu Kung chiamò la sua nuvola d’oro è sfrecciò al palazzo della madre-regina. Per strada incontrò il dio scalzo e gli domandò:

«Dove state andando?»

«Al banchetto delle divine pesche del cielo» gli rispose.

Allora il santo gli mentì: «Il sovrano dell’alto Cielo mi ha ordinato di dire a tutti gli dèi e i santi che, prima di andare insieme dalla madre-regina, devono recarsi nella Sala della Chiarezza per offrire sacrifici rituali».

Il dio scalzo credette alle sue parole e ritornò da dove era venuto. Allora lo scimmiotto prese le sue sembianze e si recò al castello della madre-regina. Giunto qui, scese dalla nuvola e varcò indisturbato l’alto cancello. Il banchetto era già pronto, ma gli dei erano ancora arrivati. D’un tratto giunse alle narici del santo un profumo di vino. Incuriosito, egli riuscì a seguirne la scia fino a una ricca stanza dalle pareti d’oro e argento, al centro della quale vi erano cento botti colme di prezioso nettare. Sun si strappò allora alcuni peli e li trasformò in vermi del sonno: questi si infilarono nel naso degli addetti alla mescita della misteriosa bevanda, che stramazzarono al suolo addormentati. Avendo via libera, lo scimmiotto entrò nell’ampia stanza, aprì le botti e bevve a sazietà il misterioso nettare, finché non fu ubriaco fradicio. Allora, con la mente ottenebrata, pensò: “Ugh, la faccenda è dubbia. È meglio che io vada a casa a dormire!”. Uscì barcollando dal giardino ma, non essendosi accorto d’aver sbagliato strada, giunse per errore davanti alla casa di Lao Tzu[66], che dimora anch’egli in cielo. Qui tornò in sé, si risistemò gli abiti ed entrò. In giro non v’era anima viva, poiché Lao Tzu si era recato presso la dimora della Divinità della luce accompagnato dai suoi servitori. Non trovando nessuno in casa, il santo scimmiotto si spinse fin nella stanza più interna dove il padrone di casa era solito preparare l’elisir della vita. Qui, accanto alla stufa, al chiaro di una stupenda lanterna c’erano cinque fiaschette di zucca colme di pillole della vita già pronte. Il santo allora disse tra sé e sé “Oh! Già da tempo mi proponevo di preparare qualche pillola simile. Sono proprio contento di averle trovate già bell’e pronte!”. Scosse allora il contenuto delle fiaschette di zucca per verificarne l’effettivo contenuto e trangugiò tutte le pillole della vita. Ora che aveva ben mangiato e ben bevuto, nuovamente il suo pensiero si manifesto: “Ah, molto molto, molto male! Non vi è modo di porre rimedio a ciò che ho combinato! Se mi acciuffano, la mia vita è in pericolo. Sarà meglio che torni sulla terra e mi accontenti di regnare sulle bestie della Montagna dei fiori e dei frutti!”. Così dicendo, Sun si rese invisibile e uscì dalla porta occidentale del cielo, per poi fare velocemente ritorno a casa, a cavallo della fedele nuvola d’oro. Giunto a casa, Sun Wu Kung raccontò alle sue scimmie quello che gli era capitato in Cielo. Sentendo parlare del nettare del giardino delle sacre pesche, le scimmie esclamarono a gran voce:

«Sommo re, non è che andresti a prendere qualche bottiglia di questo meraviglioso siero anche per noi, così che anche noi possiamo ottenere la vita eterna?».

L’idea piacque molto al re delle scimmie che, richiamata la sua nuvola dorata, ritornò in fretta al Cielo e, intrufolatosi inosservato nel giardino, afferrò quattro botti: due se le mise in mano, due sotto al poderoso braccio. Poi, senza lasciar tracce, scomparve e portò il bottino alla caverna, dove lo consumò con i suoi sudditi. Nel frattempo, dopo un giorno e una notte, le sette fate inchiodate da Sun Wu Kung nel giardino delle pesche erano riuscite a liberarsi: presero i loro panieri e andarono dalla madre-regina per raccontarle il funesto accaduto. Nel frattempo giunsero anche gli addetti alla mescita per riferire della devastazione arrecata da uno sconosciuto a cibi e bevande della sala d’oro e argento. Adirata e profondamente turbata, la madre-regina andò a lamentarsi dall’Imperatore di Giada, Sovrano dell’alto Cielo. Poco dopo arrivò anche Lao Tzu a riferire del furto delle pillole della vita e il dio scalzo che raccontò di essere stato imbrogliato dal Gran Santo Celeste. Dal Castello di quest’ultimo venne poi un servitore a riferirne la misteriosa scomparsa. Allora, spaventato, il Sovrano del Cielo esclamò:

«Questo gran trambusto e caos è opera senza dubbio della scimmia!»

Fu allora messo all’erta tutto l’esercito celeste, con gli dèi delle stelle, del tempo e delle montagne: si doveva catturare la scimmia. Comandante in capo era Li Dsing che, disceso con gran fragore e burrasca dalle alte e splendenti regioni del cielo, prese d’assedio la Montagna dei fiori e dei frutti tendendole intorno la rete del cielo e della terra, cosicché nessuno potesse sfuggirgli. Egli mandò poi a combattere i suoi eroi più valorosi. Sun Wu Kung affrontò con coraggio ogni attacco, dal primo mattino fino al tramonto. Ma i suoi fedelissimi erano stati catturati tutti. Allora si adirò profondamente: si strappò un pelo dal capo e lo tramutò in migliaia di re delle scimmie che roteavano tutti un’asta di ferro dai puntali d’oro. E fu così che l’esercito celeste venne sconfitto e che il valoroso scimmiotto si ritirò a riposare nella sua caverna.


X.


Al banchetto presso il giardino era intervenuto anche Guan Yin[67] che, mentre si trovava in visita all’Imperatore di Giada, venne a sapere delle imprese del valoroso scimmiotto di pietra Sun Wu Kung. Venne poi anche Li Dsing che riferì della grande sconfitta subita sul Monte dei fiori e dei frutti. Allora Guan Yin prese la parola e disse al Sovrano del Cielo:

«Posso raccomandarvi un eroe che sicuramente si sbarazzerà facilmente della scimmia. Si tratta di vostro nipote Yang Oerlang: durante i suoi innumerevoli viaggi per il mondo costui ha incontrato tutti gli spiriti – animali e vegetali che siano, maligni e perfino gli elfi di erba – e tutti li ha soggiogati al suo volere! Saprà costui certamente cosa fare per sbarazzarsi di simili diavoli!»

Mandarono così a chiamare il prode Yang Oerlang, che fu condotto nell’accampamento da Li Dsing in persona. Costui poi domandò all’eroe:

«Nobile e valoroso Yang Oerlang, cosa pensate di fare per sbarazzarvi della scimmia molesta?»

«Credo» rispose sorridendo a lui l’eroe «che dovrò fare a gara con lui nelle trasformazioni. Sarà dunque meglio che togliate la rete celeste affinché non mi sia d’impiccio nel combattimento».

Pregò poi il dio di appostarsi nello spazio aereo con in mano lo Specchio degli Spiriti, per poter scovare la scimmia quando si fosse resa invisibile. Prese queste precauzioni Yang Oerlang e, ardito, si presentò con gli spiriti che lo servivano alle porte della caverna. Chiamato a gran voce, Sun Wu Kung uscì fuori dalla sua dimora e, quando si vide davanti quel formidabile e così potente eroe con il suo tridente, gli domandò:

«Chi sei?»

«Il mio nome è Yang Oerlang, nipote del Sovrano dell’alto Cielo!» rispose quello.

«Ah già, già! Certo, certo! Sicuro, sicuro!» rispose beffarda la scimmia «Mi sembra di ricordare che sua figlia s’era unita a un certo signor Yang e da costui ella aveva avuto un figlio. Sei dunque tu?»

Yang Oerlang andò su tutte le furie e, d’istinto, gli scagliò contro la sua poderosa lancia. Ebbe dunque inizio una furibonda lotta.

Dopo trecento stoccate si era sempre in parità. Yang Oerlang si trasformò in un gigante con la faccia nera e i capelli rossi, provocando la paura delle altre scimmie.

«Non male!» disse la scimmia ricorrendo al medesimo prodigio «Ma riesce anche a me!»

Proseguirono così il combattimento in queste sembianze. Gli spiriti degli animali e delle piante di Yang Oerlang davano molto da fare alle scimmie: ne uccisero una gran parte, mentre misero in fuga le altre. Quando Sun Wu Kung se ne accorse, nel suo cuore si accese una grande inquietudine. Depose dunque il suo nyobo e fuggì, mentre Yang Oerlang gli stava alle calcagna: lo scimmiotto trasformò l’asta con le punte dorate in un ago e la nascose in un orecchio; poi, mutatosi in un veloce passero, fuggì sulla cima di un albero. Anche se lo seguiva con solerzia, Yang Oerlang lo perse di vista. Tuttavia, dopo un po’, con i suoi occhi acuti egli si accorse che si era trasformato in un passero: liberatosi di armi e armatura, si mutò dunque in uno sparviero per poi avventarsi sul passero. Quest’ultimo sbatté vorticosamente le ali e volò alto nel cielo sottoforma di cormorano. Yang Oerlang scosse il suo piumaggio e si trasformò, di contro, in una gru che si avventò fulminea sul cormorano. Quello si riabbassò, planò in una valle e si tuffò in un ruscello, per poi riaffiorarvi con le sembianze di un pesce.

Giunto nella valle, Yang Oerlang si accorse di averne perduto le tracce e pensò “Questa scimmia si sarà dunque trasformata in un pesce o in un granchio. Ora mi muterò anch’io e l’acchiapperò”: divenne poi un astore marino che svolazzava sul pelo dell’acqua. Non appena lo vide, Sun riconobbe il suo nemico. Poi si girò di scatto e fuggì, mentre l’eroe Yang gli era alle costole. L’aveva quasi a portata di becco, quando quella si voltò, uscì dall’acqua sotto forma di serpente marino e prese a strisciare nell’erba. Quando vide davanti a sé il serpente, Yan Oerlang si mutò in aquila e, pronta ad afferrarlo, estrasse i suoi artigli affilati. Vedendola giungere con gran stridore e tumulto, il serpente prese il volo e si trasformò nel più comune degli uccelli, un’otarda chiazzata e si accovacciò sul pendio della montagna. Vedendo Sun Wu Kung trasformato in un animale tanto comune, l’eroe si rifiutò di seguirlo e riprese le sue sembianze originarie. Afferrò dunque la sua balestra e col braccio poderoso scagliò un proiettile. Questo sfiorò l’otarda che, scivolando, cadde lungo il pendio. Tuttavia, mentre Sun precipitava nel vuoto, si trasformò in un tempietto in onore del dio delle messi: la bocca divenne la porta, i denti i suoi battenti, mentre la lingua l’effigie della divinità e gli occhi le finestre. E della coda cosa fare? Sun allora la drizzò dietro, a mo’ di pennone. Giunto ai piedi della montagna, Yang vide la cappella con il pennone, rise e pensò: “Davvero diabolica la scimmia! Vuole indurmi ad entrare nella cappella per mordermi. Ma io non ci vado davvero! Spaccherò le finestre e strapperò i battenti della porta!”. Queste parole terrorizzarono la scimmia, che fece un gran balzo e scomparve nell’aria senza lasciar tracce. Chiamò poi la fedele nuvola kinto’un e condusse se stesso al tempio di Yang Oerlang in cui, prese allora le sue sembianze, entrò. Gli spiriti di guardia non la riconobbero e gli si prostrarono davanti. Sun sedette allora sul trono del dio e chiese di vedere le preghiere pervenute. Quando non vide più la scimmia, Yang Oerland si recò da Li Dsing e gli disse:

«Ho fatto a gara con la scimmia nel trasformarmi. Tuttavia, ora ho smarrito le sue tracce. Guarda un po’ nel tuo specchio, aiutami!».

Li Dsing fece come gli era stato detto e, ridendo, disse:

«Ah, questa è bella, bella davvero! La scimmia ha preso le vostre sembianze e si trova ora nel vostro tempio a combinarle di tutti i colori!»

Yang Oerlang afferrò allora il suo tridente e si precipitò nel suo tempio. Gli spiriti che stavano di guardia alla porta esclamarono atterriti:

«Se il padre è appena venuto, come fa a essercene un altro?».

Yang Oerlang entrò senza dar loro ascolto e si avventò con la sua lancia contro Sun Wu Kung che, riprese le sue sembianze, gli disse ridendo:

«Giovane signore, non ve la prendete! Il dio adesso si chiama Sun Wu Kung!»

Profondamente fuori di sé dalla rabbia, senza proferire verbo Yang Oerlang gli si avventò contro. Sun Wu Kung prese la sua asta e si preparò a contrattaccare. Lo scontrò riprese con fragore e proseguì fuori dal tempio, finché entrambi i contendenti fecero ritorno alla Montagna di fiori e dei frutti.


XI.


Nel frattempo, Guan Yin se ne stava insieme a Lao Tzu, al Sovrano del cielo e alla madre-regina nell’alta volta celeste, in attesa di notizie. Poiché non ne arrivavano, la madre-regina prese la parola e disse:

«Vado con Lao Tzu alla porta meridionale del Cielo per vedere come stanno le cose sulla terra».

Quando vide che il combattimento non era ancora terminato, ella suggerì a Lao:

«Che ne diresti di dare una mano a Yang Oerlang? Ho intenzione di rinchiudere Sun Wu Kung in uno dei miei vasi!»

«I vostri vasi sono di porcellana, maestà.» rispose Lao «Potrebbe egli in verità spaccarli con la sua asta di ferra dalle punte d’oro. In verità, io possiedo un anello di diamante in grado di racchiudere tutti gli esseri viventi. Userò quello!»

Allora Lao Tzu lanciò il suo magico anello dalla porta del cielo. Questo colpì Sun Wu Kung al capo che, troppo impegnato nel combattimento, non ebbe modo di difendersi. Stordito per l’improvviso colpo alle tempie, lo scimmiotto cadde al suolo. Mentre stava rialzandosi con l’intenzione di fuggire, il cane celeste di Yan Oerlang lo azzannò a una gamba facendolo nuovamente cadere. Giunsero allora Yang Oerlang e i suoi, che lo legarono e gli piantarono un uncino nella spalla, affinché non potesse più cambiare forma. Ripresosi il suo anello di diamante, Lao Tzu ritornò con Guan Yi nella volta celeste. Sun Wu Kung fu trionfalmente riportato in cielo e condannato alla decapitazione. Lo condussero nel luogo dell’esecuzione e lo legarono a una colonna. Vani furono tutti i tentativi di dargli la morte con la scure o con la spada, con il tuono o con il lampo: non gli torcevano nemmeno un pelo. Lao Tzu allora disse:

«Non c’è da meravigliarsi! Questa scimmia ha mangiato le pesche sacre, bevuto il vino e trangugiato anche le mie pillole della vita. Niente può nuocergli. È meglio che me la porti a casa e la infili nel mio forno: l’elisir della vita ne uscirà fuso e la scimmia sarà ridotta a polvere e cenere!».

Sun Wu Kung fu così liberato dalle corde e Lao Tzu lo prese con sé, lo infilò nel suo forno e ordinò ai suoi servi di attizzare il fuoco di continuo. Sul bordo del forno erano però incisi i segni delle otto forze della natura. Entrata nel forno, la scimmia cercò protezione sotto il segno del vento. Il fuoco non poté farle male, solo il fumo le dava fastidio agli occhi. Rimase nel forno sette volte, per sette giorni. Poi Lao Tzu fece aprire il forno per dare un’occhiata. Quando vide la luce, Sun Wu Kung non ce la fece più, saltò fuori e rovesciò il forno fatato. Gettò a terra custodi e servi e lo stesso Lao Tzu, che avrebbe voluto afferrarlo, si prese un colpo tale da finire a gambe all’aria. Sun Wu Kung si tolse poi l’asta dall’orecchio e improvvisamente sfasciò tutto, tanto che gli dèi delle sette stelle si rinchiusero nelle loro case e i guardiani del cielo abbandonarono le loro postazioni. Giunse così al castello del Sovrano del cielo, dove però il guardiano riuscì a trattenerlo con la sua frusta di ferro. Allora gli mandarono contro i trentasei dei del tuono, che lo circondarono senza riuscire a prenderlo. Il sovrano del cielo esclamò:

«Il sommo Buddha ha sempre una parola giusta. Mandatelo subito a chiamare!»

Da Occidente arrivò allora Buddha con Ananda e Kasyapa, i suoi discepoli. Quando vide quel trambusto, mestamente disse:

«Deponete le armi e portatemi il santo. È mia intenzione parlare con lui».

Gli dèi allora si ritirarono. Con la schiuma alla bocca, Sun Wu Kung gli domandò:

«Chi sei tu, che osi parlare con me??»

Buddha sorrise e disse:

«Il mio nome è Shakiamuni Amitofu e vengo dal beato Occidente. Ho sentito parlare della tua ribellione e sono venuto per placarti»

Sun allora gridò: «Sono Sun Wu Kung, la scimmia di pietra che ha raggiunto l¹illuminazione. Posso trasformarmi sessantadue volte e vivere quanto il cielo. Perché mai il Sovrano dell’alto cielo deve restare in eterno sul suo trono? Quando mi avrà fatto posto sarò contento!»

Buddha disse sorridendo:

«Sun Wu Kung, sei un animale che ha conseguito forze prodigiose. Come puoi diventare Sovrano del cielo? Devi sapere che il Sovrano del cielo lavora virtuosamente, con impegno e costanza, da eoni. Quanti anni ti mancano per raggiungere la sua dignità! Inoltre, questo a te chiedo: conosci qualcos’altro a parte l’arte della trasformazione?»

Sun Wu Kung rispose:

«So viaggiare nel cielo con immensa velocità, grazie alla nuvola d’oro kinto’un, ottenuta per il mio merito! Mi sembra abbastanza per diventare Sovrano dell’alto cielo!»

Buddha rispose sorridendo:

«Facciamo una scommessa. Se con la tua poderosa nuvola d’oro riesci a sfuggire dalla mia mano, pregherò il Sovrano del cielo, l’Imperatore di Giada, di farti posto. Se non ce la fai, dovrai consegnarti a me».

Sun Wu Kung trattenne le risa, pensando “Costui è davvero un tipo strano! La sua mano è lunga meno di un piede, sarà un gioco da ragazzi!”

Accettò così di buon grado. Buddha distese allora la sua mano destra: sembrava un piccolo petalo di loto. Sun Wu Kung vi balzò sopra, poi disse:

«Via!»

Chiamò allora la nuvola kinto’un, come in un vortice, vi salì e partì con fragore. A un certo punto, Sun vide cinque colonne alte e rossicce che svettavano nel cielo. Pensò allora: “Questa è la fine del mondo! Ora tornerò indietro e sarò finalmente il Signore del cielo. Però voglio lasciare qui il mio nome, per provare che ci sono stato!”. Si strappò un pelo, lo trasformò in un pennello e scrisse a lettere cubitali sulla colonna di mezzo “Sun Wu Kung, il Gran Santo Celeste”. Ritornato nel luogo da cui era partito – dopo una piccola sosta, durante la quale orinò –, saltò giù dalla mano e disse ridendo al Buddha:

«Orsù, che il Signore del cielo mi liberi in fretta il suo castello celeste! Sono giunto alla fine del mondo e vi ho anche lasciato il mio nome!»

Buddha imprecò:

«Infame d’una scimmia, mi hai orinato in mano! Vorresti farmi credere di esserti allontanato dal mio palmo? Guarda un po’ se sotto il mio dito medio non c’è scritto “Sun Wu Kung, il Gran Santo Celeste”? E il mio pollice, che è ancora bagnato? Vorresti dunque avere ragione?».

Accorgendosi che le cose stavano proprio così, Sun Wu Kung si spaventò moltissimo. Cercò di darsi un contegno e disse che voleva andare a controllare, nella speranza di sfruttare l’occasione per levarsi di torno. Ma Buddha lo trattenne con la sua mano, lo spinse fuori dalla porta del cielo e con acqua, fuoco, terra, metallo e legna eresse una montagna, che fu chiamata Montagna dei Cinque Elementi, sotto la quale lo imprigionò. La sua prigionia durò ben cinquecento anni.


XII.


Narrano le antiche cronache che, dopo cinquecento anni – al tempo in cui l’impero cinese era sotto la dinastia Tang –, il mondo fosse sprofondato nel caos. Nessun infatti ricordava più i sutra[68] e gli insegnamenti del Buddha. Profondamente addolorato, costui affidò alla bosatsu[69] Kannon[70] il compito di cercare un uomo pio e giusto in grado di affrontare il pericoloso viaggio verso Occidente al fine di diffondere i testi sacri alle popolazioni della zona. Kannon allora scelse come uomo degno di affrontale un tale viaggio il venerabile monaco Sanzang. Costui, uomo profondamente rispettoso delle divinità, accettò l’incarico. Lungo il cammino, Sanzang s’imbatte per caso nella montagna in cui era rinchiuso Sun Wu Kung, incatenato alla pietra con salde catene fatate: i suoi poteri erano stati sigillati. Vedendolo così stremato e stanco, il pio monaco, sorpreso, parlò:

«Ma guarda,» disse «e tu chi sei, infelice creatura in catene?»

«Da mille anni, o monaco,» rispose il prigioniero «giaccio prigioniero in questo orribile luogo. In verità, offesi il cielo e le divinità che vi dimorano. Ma ti prego, liberami e sarò al tuo servizio!»

«O infelice, i tuoi occhi sono tristi e spenti. Ti propongo un accordo: aiutami a compiere la mia missione e scortami lungo il mio viaggio: in cambio, ti concederò di essere libero e mio discepolo»

«Libero? Dopo cinquecento anni?» ripeté Sun Wu Kung «Accetto, accetto di sicuro! Rendimi nuovamente libero e sarò tuo discepolo. Il mio nyobo, la mia forza e la mia vita saranno al tuo servizio!»

Sun Wu Kung venne così liberato e divenne da quel momento in poi discepolo del monaco, che gli affibbiò il nomignolo “Xing Zhe”, ossia “il Viandante”. Tuttavia, come era facile a immaginarsi, Sun Wu Kung non era un buon discepolo: infatti, alla prima ramanzina di Senzang, si adirò allontanandosi da lui. Giunse in soccorso del probo monaco proprio bosatsu Kannon, che gli donò un diadema magico e gli insegnò la formula magica necessaria a farne sprigionare i poteri. Quando Sun fece ritorno al monaco, con un trucco costui gli fece indossare la magica corona e pronunciò la formula: quest’ultima, stretta come una morsa attorno al cranio della scimmia, gli provocava un dolore immenso. Non riuscendo a strapparsi il fastidioso copricapo, Sun Wu Kung urlò:

«Dannato monaco! Il dolore è insopportabile! Ti ucciderò di botte!»

Spaventato, Senzang ricominciò a recitare la formula per il confinamento magico. Da quel momento in poi Sun Wukong obbedì senza discutere al monaco e si impegnò a proteggerlo da ogni male.

Lungo il viaggio i due incontrarono nuovi compagni d’avventura, precedentemente anch’essi discepoli di Senzang: il maiale antropomorfo Zhu Wuneng e il demone fluviale Sha Wujing, condannati anch'essi, alcuni anni prima, durante l'annuale banchetto di pesche sacre, durante il quale il primo si ubriacò e cercò di sedurre una bella fanciulla e il secondo ruppe un vaso per sfogare un impeto di rabbia. Moltissimi furono gli scenari che gli avventurieri attraversarono durante il loro viaggio: larghi fiumi inguadabili, montagne fiammeggianti, grotte abitate da malvagie Kyūbi no Kitsune[71], un regno con una popolazione interamente femminile e una tana di seducenti spiriti di Tsuchigumo[72]. Inoltre molte furono le battaglie che essi intrapresero contro innumerevoli banditi, demoni e creature mitologiche: Niu Mowang, un Re Demone Toro precedentemente amico dello scimmiotto; il Baigujing, che uccide intere famiglie succhiando l'anima e la vita; il Demone del Ratto, che seduce e uccide i monaci con i suoi artigli. Il loro lungo viaggio – durante il quale lo scimmiotto imparerà a comportarsi meglio – durò quattordici anni, finchè la compagnia giunse in India portando a termine la loro impresa, ricevendo i testi sacri dal Buddha che vive sul picco della collina Griddhraj Parvat. Il gruppo raggiunse infine l’illuminazione: Sun Wu Kung e Sanzang diventarono a loro volta dei buddha[73], Sha Wujing un arakan[74], e Zhu Wuneng ironicamente il consumatore delle offerte in eccesso sugli altari. Da allora Sun Wu Kung si comportò sempre con gran civiltà e decoro, come richiedeva il suo nuovo grado e mai più fu violento o avventato.



[9] Le divinità primordiali.

[10] Continua a leggere!

[11] La misteriosa energia spirituale dell’universo.

[12] Sun Wukong, o anche Son Goku (in giapponese), Son Ogong (in coreano), Tôn Ngộ Không (in vietnamita) o Sun Go Kong (in indonesiano).

[13] Abito tradizionale cinese di grande pregio, utilizzato prima della dinastia Qing.

[14] La rinascita dell'anima, o dello spirito, di un individuo in un altro corpo fisico, trascorso un certo intervallo di tempo dopo la sua morte terrena.

[15] Divinità del mare.

[16] Divinità del vento.

[17] Yōkai del mare, una sorta di sirena.

[18] Via, strada, cammino.

[19] Tradizionale pavimentazione giapponese composta da pannelli rettangolari modulari, costruiti con un telaio di legno o altri materiali rivestito da paglia intrecciata e pressata.

[20] Divinità.

[21] Il Signore del Cielo.

[22] Alto Creatore.

[23] Divino Creatore.

[24] Colonne divine: probabilmente venivano così chiamati a ricordo della forma rozza con cui essi venivano incisi su tronchi commemorativi.

[25] Splendido principe del bambù sollevato

[26] Le ruote celesti

[27] Altopiano del Paradiso

[28] Tale ciclo è chiamato kami no yo nana yo

[29] Divinità ultraterrene.

[30] Colui che invita

[31] Colei che invita

[32] Ponte fluttuante del Cielo. Esso collegava il Paradiso alla Terra.

[33] L’“isola che si formò da sola”

[34] “Bimbo sanguisuga”

[35] Awaji

[36] Lo Shikoku

[37] Le tre isole: Chiburi, Nishi e Naka.

[38] Il Kyūshū

[39] Tsushima

[40] L’Honshū

[41] Il Paese delle otto grandi isole

[42] È la terra dei morti, il Mondo dell’oscurità.

[43] Sovrano celeste.

[44] Un orco.

[45] I kanji (le lettere) di questo nome significano “Grande demone”.

[46] Grossa ascia da guerra a un solo taglio.

[47] Il giardino tradizionale giapponese che crea paesaggi ideali in miniatura.

[48] Energia spirituale

[49] Un enorme pescegatto in grado di dare origine ai terremoti.

[50] La dea del Sole, figlia di Izanagi e Izanami.

[51] Il dio della Luna, figlio di Izanagi e Izanami.

[52] Platessa.

[53] Anguilla.

[54] Tridente giapponese.

[55] Il primo re della dinastia Xia, che regnò sulla Cina per ben quarantacinque anni.

[56] Il bue.

[57] Il drago.

[58] Il leone.

[59] La gru.

[60] Inferi.

[61] Dèi della morte.

[62] Bestia con mani artigliate, volto peloso e grande lingua, con la maggior parte del corpo nascosto da una nuvola nera.

[63] Spirito di una donna dai lunghi capelli neri, dalle piccole corna sul capo e da un kimono bianco.

[64] Fantasmi.

[65] Spaventosi demoni dall’aspetto di ragno che attiravano gli uomini suonando la biwa (strumento a corde, simile a un liuto).

[66] Antico filosofo e scrittore cinese.

[67] Divinità buddista cinese.

[68] Nella letteratura indiana, nome dato a brevissimi aforismi di rituale, filosofia, grammatica e letteratura scientifica in genere, dei quali si compongono speciali trattati, denominati anch'essi sutra.

[69] Vuol dire “essere illuminazione”.

[70] Divinità della grande compassione.

[71] Volpe a nove code, magica creatura malvagia del folklore giapponese

[72] Il demone - ragno. Solitamente esso si presenta alle proprie vittime con le sembianze di giovani e avvenenti fanciulle dalle vesti immacolate

[73] Essere che ha raggiunto il grado massimo di illuminazione

[74] “Degno di venerazione”

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