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Storia del Tanuki magico (2018)

  • Immagine del redattore: Salvatore Pellegrino
    Salvatore Pellegrino
  • 6 ott 2018
  • Tempo di lettura: 5 min

C’era una volta, tanto tempo fa, sotto lo shogunato Kamakura, un povero diavolo che per tirare a campare non poteva far altro che racimolar e vender cianfrusaglie d’ogni sorta. Il nome di costui era Jimbei e tornava un pomeriggio d’inverno a casa sua, trainando il suo bel carrettino – colmo delle chincaglierie recuperate durante il giorno – lungo il sentiero pietroso che attraversava il bosco. Improvvisamente costui udì acute grida femminili e, voltandosi alla sua destra, scorse un gruppo di giovani che importunavano una giovane donna dai capelli ramati, deridendola e strattonandola.

«Ehi voi! A voi, dico! Lasciate in pace quella piccola donna!» tuonò Jimbei, lasciando di colpo il carro e cominciando a inseguire quei farabutti, armato di un bastone di tasso, «Tornatevene da dove siete venuti!»

Impauriti, i ragazzi si diedero alla fuga nel bosco. Fiero di sé e impettito più di un daimyō [1], Jimbei si voltò per parlare con la ragazzina, ma non la trovò. Era sparita senza lasciare alcuna traccia. Sorpreso, l’ambulante continuò il suo cammino ma, prima di tornare a casa, decise di passare dal tempio buddista per ringraziare le divinità per la giornata propizia. Quivi gli si fece incontro un monaco che egli ben conosceva il quale, dopo averlo salutato, gli disse:

«Caro Jinbei, sto cercando una teiera. Se per caso te ne dovesse capitare una, portala a me, te ne prego. Pagherò per essa il giusto prezzo».

Tornato a casa, alla luce di una consunta fiaccola Jinbei cominciò a mettere in ordine le minutaglie che aveva comprato durante il giorno: avendo costui l’abitudine di acquistare un sacco di cose che nessuno sarebbe stato capace di vendere, si ritrovava spesso la casa piena di oggetti inutili ed era dunque molto povero. D’un tratto egli s'accorse di una splendida teiera messa in un angolo della stanza, un manufatto splendido e ben lavorato che egli non ricordava di aver acquistato. Ricordando le parole dell’amico monaco, Jimbei si avviò nuovamente verso il tempo con la speranza di ricavare dalla vendita della teiera un succulento malloppo. Ma ecco che, quando il venditore sistemò il manufatto sul retro del carretto e si preparò per mettersi in viaggio, accadde un fatto straordinario. Egli sentì una vocina che lo chiamava. Sorpreso, Jimbei si voltò e vide che proveniva dalla teiera che – cosa strana a vedersi e a raccontarsi! – si stava mutando in un tanuki [2].

«Ero la ragazza che hai aiutato oggi. Dammi la possibilità di ricambiare il favore» cominciò a dire l’essere magico, mentre raggiungeva la sua forma reale e si lisciava i folti e lunghi baffi. Poi, sogghignando maliziosamente e con un guizzo di scaltrezza negli occhi, espose all’uomo il suo astuto piano:

«Ecco, io mi muterò in teiera, tu mi venderai al monaco e farai qualche soldo. Il monaco è vecchio, stanco e colmo d’oro e sicuramente non subirà danno ingente se sarà da noi alleggerito nella borsa!»

“Capisco” pensò tra sé e sé Jimbei, scosso dalla cosa “la giovane donna di oggi pomeriggio era in realtà un tanuki abilmente camuffato! [3]”. Poi, rimasto in silenzio, continuò il filo dei suoi dubbiosi pensieri “Farò bene a fidarmi di un trasformista tanto abile?” e ancora, con risolutezza, “E sia. Non ho infatti niente da perdere”.

«Ebbene, tanuki-san, accetto il tuo aiuto. Il mio nome è Jimbei di Gunma. Quale è il tuo nome, se gli dèi te ne hanno concesso uno?»

«Yamarashi è il mio nome. Piacere di fare la tua conoscenza, umano»

«Piacere mio, yōkai [4]. Ebbene, Yamarashi-san, accetto il tuo aiuto di buon grado. Mettiamoci in cammino, che tarda è l’ora e buio il cammino»

Così i due amici si misero in viaggio. Arrivato al tempio, Jinbei mostrò la teiera al monaco che, molto contento, decise di acquistarla per una cospicua somma ignorando la sua vera natura. Sulla via del ritorno, però, così pensava il tormentato commerciante “Che cosa terribile che ho fatto... ho ingannato il buon monaco, mio amico! E, al contempo, ho affidato l’amico tanuki a un essere umano! Spero proprio che non gli venga fatto alcun male! Domani stesso tornerò al tempo del bosco per scusarmi e fare ammenda”. Nello stesso tempo, il monaco decise di provare la nuova teiera e di preparare un tè caldo che lo ristorasse dal freddo: prese dunque la teiera, la riempì di acqua calda e la pose su un treppiedi sulla brace. Sotto forma di teiera, il tanuki cercò di resistere il più possibile sopra il fuoco ma, quando il calore gli fu insopportabile e non ce la fece più, balzò fuori dalla finestra e scappò via non essendosi ancora completamente mutato in animale.

«Sono stato raggirato!» esclamò il monaco.

Jinbei era seduto a casa, preoccupato per il procione. Improvvisamente, questi entrò dalla finestra e si rivolse all’ambulante con queste parole:

«Ahi, ahi, ahi! Che brutta esperienza, amico mio!», poi si indicò il corpo completamente ricoperto di ustioni e ferite e cominciò a piangere a dirotto.

«Ah, infelice amico! È tutta mia la colpa!» disse Jimbei e aggiunse «Poverino… sdraiati un pochino a letto. Io medicherò le tue ferite con cura»

Mentre l’uomo stava mettendo dell'unguento sulle ferite del dolorante procione, ecco arrivare il monaco infuriato:

«Come avete potuto ingannarmi così?» sbraitò «A causa dello spavento mi sono anche procurato delle ferite. Rivoglio indietro i miei soldi e le spese per i medicinali!»

Così Jinbei fu costretto a restituire al monaco molti più soldi di quanti ne avesse fatti con la vendita della teiera, mentre il procione, disteso sul letto e amareggiato, disse:

«Mi dispiace, Jimbei-san, volevo restituirti il favore ma ho combinato solo un guaio!»

«Mi dispiace, Jimbei, volevo restituirti il favore ma ho combinato solo un guaio!»

«No, non preoccuparti» aggiunse Jinbei «Pensa piuttosto a rimetterti presto perché mi è appena venuta in mente un’idea niente male».

Nei giorni seguenti, grazie alle cure di Jinbei le ustioni del procione guarirono in fretta. Desiderando aiutare l'ambulante in qualche modo, Yamarashi gli disse allora:

«Qualche giorno fa dicevi di aver avuto una buona idea per potermi sdebitare. Dimmi, quale era?»

«Oh!» esclamò Jinbei «Pensavo che io e te potremmo mettere insieme un numero da strada. Io suonerei il tamburo ed il flauto, mentre tu faresti il funambolo ballando sulla corda e trasformandoti in alcuni oggetti. Credo che riusciremmo a racimolare qualche soldo e a divenir famosi!»

Il procione ci pensò un attimo ma poi accettò con piacere, a patto però che lui e Jinbei si fossero allenati duramente per allestire uno spettacolo incredibile. Dopo alcuni mesi, Jinbei e Yamarashi erano finalmente pronti e cominciarono a viaggiare per tutto il Giappone, presentando al pubblico i loro numeri. Ben presto la loro fama fu grande: ovunque andavano, i due amici trovavano sempre una grande folla ad aspettarli e a ricompensarli lautamente per il loro spettacolo. Così Jinbei e Yamarashi vissero ricchi e felici per lungo tempo.



[1] Il signore feudale.

[2] Un procione.

[3] Secondo il folklore giapponese, i procioni sono animali magici capaci di tramutarsi in qualunque cose, perfino in esseri umani,

[4] Demone o spirito magico.



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